Il tempo degli altri

Proprio non ce ne sono più. Neanche a inventarli. Neanche a usare la creatività. Vedetela come volete e da dove volete, ma non ci sono repliche. Neanche il Mago Silvan coadiuvato dal Mago Oronzo in seduta plenaria con Otelma potrebbero farcela. Ovviamente di soldi parliamo.

Dobbiamo partire dalla contingenza incontinente del Paese nostro. Dai discorsi di Tremonti sulla cultura che non piglia pesci alle mannaie dei bilanci pubblici. Sembra tutto finito ai più. Comuni e amministrazioni sono disperati, senza fondi per mostre e cotillon. Le aziende di catering sono in sommossa per i tagli a buffet e tartine. Curatori seducenti, sedicenti tali, sono affranti su progetti non più realizzabili. A volte, per fortuna dei contribuenti e del buon senso.
La crisi sta rivedendo dinamiche e logistica di vernici. E adesso? Che succede alla presunta cultura? Finita davvero? Evitiamo discorsi filosofici su cultura, territorio, innovazione. E concentriamoci sulla parte indipendente. Periferica e scentrata dal potere e dagli interessi. La crisi di queste ore/anni, dentro o fuori il pubblico, non cambia di molto, o in modo sostanziale, la situazione degli independents.
Gli indipendenti stanno sui bordi e coltivano i margini. Comunque. I luoghi di diversità. Le aree non protette dal mainstream. Anticipano. Predicono. Chi poco, chi molto in anticipo. Sono out rispetto a un sistema. Non fanno e non producono per denaro. Non solo. Ci sono componenti che avvicinano gli indipendenti nella loro diversità. Capacità di rischio. Sperimentazione. Passione. Volontà di aprire nuove vie.

Party MG 7837 Il tempo degli altri

Milovan Farronato e Louwrien Wijers - photo Matthew Stone

Gli indipendenti, quelli veri – visto che molti sono mascherati paraculi, mi si scusi il francesismo – mantengono vivo, nel loro piccolo, il Paese. Sono una capsula di Petri dove nascono nuove colture e si sviluppano nuove sensibilità. Specialmente nelle province italiche. Un Paese che non qualifica gli indipendenti, ma che guarda solo ai privati con i loghi o alle istituzioni con le poltrone, è un territorio destinato a perdersi.
Il gioco è sugli altri, The Others, appunto… Che si chiamino Viafarini, Do Nucleo Culturale o Artribune. Ora è tempo di uscire allo scoperto. Mai come adesso, anche se sembra un paradosso, è il momento degli indipendenti. I vecchi paradigmi non funzionano più. E neppure i vecchi denari. Diamoci da fare. Uniamoci. E usiamo Artribune come piattaforma di lancio e smistamento.

Cristiano Seganfreddo

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3

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