Curare il dilemma. Un progetto internazionale a Roma

Ruota attorno al tema del dilemma il progetto messo a punto da un gruppo di curatori internazionali a conclusione di un master targato IED. I risultati stanno per andare in scena alle Carrozzerie N.O.T. di Trastevere, a Roma.

“Dilemma” è il tema di un progetto curatoriale che si potrà visitare nella serata del 16 gennaio presso le Carrozzerie N.O.T. di Trastevere. Costruito da giovani professionisti provenienti da diversi Paesi a conclusione di un Master in Arts Management tenuto dallo IED | Istituto Europeo di Design tra Firenze e Roma. Si tratta di una scommessa molteplice: un percorso formativo d’eccellenza che combina visioni e pratiche, due sedi magari ingombranti ma cariche di suggestioni; un progetto realizzato tra scelte curatoriali collettive (cosa non frequente in un campo spesso fatto di inimicizie e conflitti), finanziamento effettivo con il crowdfunding, selezione di oltre cento proposte di artisti internazionali. Un progetto prevalentemente femminile. In questo modo si dimostra che per costruire un progetto culturale non bisogna aspettare il titolo di studio o la formalizzazione, e che le cose avvengono ‘durante’, come suggeriscono i filosofi del ‘meanwhiling’. Ecco cosa ne pensano le curatrici.

Il tema del progetto è piuttosto cruciale. I dilemmi sembrano sempre di più la colonna sonora delle nostre vite, soprattutto in questi anni di bussole smarrite e orizzonti incerti. Come riusciamo a digerire la normalità dei dilemmi?
Xenia Sedunova, San Pietroburgo: È un tema che tocca i nervi scoperti di tutti, costretti in un ecosistema competitivo che non ci lascia assaporare l’esperienza di tutti i giorni. In questa gara dissennata verso il successo e i risultati, finiamo per dimenticare i nostri desideri e siamo ossessionati da pressione sociale e risultati altrui. Di fatto dimentichiamo chi siamo e cosa chiediamo alla vita. Esiste una cura universale per le ansie del nostro tempo? Probabilmente basterebbe ricordarci che non esiste un vincitore e che il rumore di fondo può essere fuorviante; essere aperti, curiosi, lasciar scorrere i pensieri senza paura e senza concentrarci sul risultato finale, ma godendoci il percorso e i suoi passi. Le aspettative e i piani di battaglia ci paralizzano, così non ci accorgiamo di opportunità importanti che ci passano accanto.

Le proposte che avete ricevuto sono coerenti tra di loro, o la stessa idea di dilemma è stata affrontata da prospettive diverse?
Sude Yedikardes, Istanbul: La nostra call ha ricevuto più di cento candidature da tutto il mondo. Siamo molto soddisfatti che così tanti artisti abbiano condiviso i propri dilemmi con noi. Le proposte sono state tutte coerenti, pur riflettendo diverse interpretazioni del concetto attraverso un ventaglio di discipline, pratiche e linguaggi creativi. Così possiamo dimostrare l’universalità del concetto di dilemma in cui prima o poi ci imbattiamo.

Come avete selezionato le proposte? Discussioni, dissensi, accordi sereni?
Carlota Brito, Lisbona: Ci siamo divisi in gruppi per aree specifiche. Il team curatoriale ha filtrato le proposte in una shortlist. Veniamo da diversi percorsi formativi, da diversi ambienti culturali; la varietà delle prospettive e l’assenza di pregiudizi ha creato un ambiente molto flessibile, così la shortlist è stata costruita in modo armonioso: ascolto reciproco e rispetto per le visioni di ciascuno, inclusa la passione con cui anche le posizioni minoritarie sono state difese. La pre-selezione è stata laboriosa e sempre aperta alla discussione. La selezione finale riflette una gerarchia dei valori condivisa da tutto il gruppo.

Marco Emmanuele, Drawing Machine #6

Marco Emmanuele, Drawing Machine #6

Parliamo del luogo. Adottate il format del white cube, o la delicatezza del tema vi spinge verso un percorso specifico ed eloquente?
Amanda Johansson, Helsingborg: In effetti la mostra avrà luogo in uno spazio dilemmatico: Carrozzerie N.O.T., una vecchia officina meccanica situata in un’area vivace tra Testaccio e Trastevere; è il luogo perfetto per il nostro progetto. Ci sono ancora tracce del passato industriale, l’atmosfera è cruda e semplice ma al tempo stesso morbida e aperta alle impressioni creative degli artisti, ben lontano dal modello di white cube.

Una curatela collettiva non ha manuali di riferimento. Che cosa state imparando dal protocollo gestionale costruito grazie a un’esperienza inconsueta?
Sara Torcato, Lisbona | Reykjavyk: Lavorare in gruppo è stata una bella sfida, tra prospettive e visioni artistiche diverse, soprattutto diversi sfondi culturali. Lavoriamo insieme da un anno, così abbiamo avuto il tempo di conoscerci bene tra punti di forza e debolezza. Di fatto è il secondo progetto collettivo che realizziamo, dopo la mostra GOMITO/GOMITO di Firenze; questa volta le cose sono andate in modo più fluido, la fatica è stata scegliere il tema estraendo il dilemma dalla discussione. Abbiamo imparato a rispettare le idee creative di ciascuno, di fidarci l’uno dell’altro come ingrediente di base per un percorso creativo come questo.

Sarà chiaro per i visitatori che si tratta di un progetto cosmopolita? Ci sono segni di apertura e non-pregiudizialità?
Annie Drew, Birmingham: Assolutamente sì! E su vari piani. Realizzata da un gruppo internazionale di professionisti in arrivo da undici diversi Paesi, Dilemma è pervasa da un’atmosfera cosmopolita: crediamo insieme in una società aperta che rispetta le diversità. Abbiamo ricevuto le candidature più disparate per provenienza, strumenti espressivi, linguaggi, le abbiamo selezionate in modo del tutto laico. La comunicazione è realizzata in italiano e in inglese.

Un progetto collettivo mescola entusiasmo condiviso con visioni talvolta conflittuali. Quali benefici ne avete tratto?
Andrea Garcia, Barranquilla: Siamo tutti d’accordo sul valore di nuovi approcci e prospettive diverse. Pur nella diversità di provenienze ed esperienze, ci siamo impegnati intensamente e la discussione ci ha permesso di mettere a fuoco i dilemmi delle nostre vite da punti di vista inediti. Affronteremo meglio le decisioni da prendere tutti i giorni.

Giovanni Careccia, After

Giovanni Careccia, After

Ci sono rimpianti?
Giulia Mancinelli, Firenze: I rimpianti sono parte integrante del concetto stesso di dilemma, se non addirittura la causa.  Si può dire che facciano parte del gioco della vita e nella maggioranza dei casi sono la componente che crea ansia, frustrazione e conseguente paura di agire. Il rimpianto rappresenta il rammarico per non aver agito; il rimorso è il suo simmetrico, in quanto rappresenta il pentimento per aver agito ed entrambi si possono quindi considerare il risultato infelice di un dilemma; d’altronde ogni grande risultato comporta un grande rischio. Il dilemma, inteso a livello personale, è uno stato d’animo che in realtà accomuna milioni di persone e riguarda soprattutto le scelte per il futuro. Dopo un anno molto intenso di formazione, è emersa una volontà comune: esplorare attraverso il linguaggio artistico il concetto di dilemma e della paura dell’ignoto. La scelta curatoriale è stata presa dopo una settimana di introspezione condivisa tra tutti i componenti del team; un esercizio che in fondo, sebbene allora non ne fossimo totalmente coscienti, ci ha portato tutti nella stessa direzione e ad avere una sola certezza: niente rimpianti!

Parliamo del futuro. Qual è il più importante dilemma dei prossimi anni?
Laura Vetter, Berlino: Non credo ce ne sia uno solo. Su larga scala ci sono sviluppi politici e ambientali con cui dovremo fare i conti, il cambiamento climatico su tutti. A livello personale ciascuno di noi si sta ponendo la questione del futuro professionale, tra innovazione, digitalizzazione e globalizzazione: le scelte possibili si moltiplicano, e ogni opzione può risultare contraria a ogni altra. Pressione e paura di sbagliare ci hanno fatto scegliere il tema del dilemma, e saranno presenti nel nostro futuro.

Doveste realizzare un nuovo progetto (diciamo, il prossimo anno), quale sarebbe il tema?
Su Usal, Istanbul: Prima di decidere sul dilemma ci sono stati diversi temi ai quali abbiamo pensato, e rivelare le nostre verità ci ha reso eccitati e nervosi. Lo scopo del progetto è raccogliere e ascoltare voci libere e creative da tutto il mondo, così abbiamo deciso di non restringere il campo: senza essere troppo specifici, abbiamo deciso di lasciare agli artisti tutto lo spazio possibile. Tra di noi, dopo un anno trascorso insieme, siamo stati d’accordo ad aprire a temi che ci ispirano e al tempo stesso ci devastano. Provando a indovinare, un nuovo progetto metterebbe comunque a fuoco un tema cosmopolita, empatico, universale.

Michele Trimarchi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati