Trappole dell’acting (II). Padiglione Italia. Né altra, né questa

Christian Caliandro riconosce nel Padiglione Italia di Milovan Farronato alla Biennale di Venezia un esempio di “acting”.

Vorrei proseguire questa serie sulle “trappole dell’acting” parlando del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia perché, ancora una volta, mi sembra particolarmente opportuno – e anche perché non mi pare che se ne sia parlato granché, almeno finora.
Inizio dicendo che questa mostra non è secondo me un vero e proprio labirinto, quanto piuttosto l’imitazione di un labirinto: la differenza può sembrare minima ma è invece sostanziale, e soprattutto ha direttamente a che fare con il nostro argomento. Per comprendere meglio i termini della questione, chi se non Italo Calvino può venirci in soccorso? La sfida al labirinto, infatti, il suo saggio pubblicato nel 1962 sul Menabò è il punto di partenza teorico-concettuale dell’operazione critica di Milovan Farronato.
Scrive Calvino – scriveva cinquantasette anni fa, ma ‘scrive’ ancora oggi dato che effettivamente queste parole sono di un’attualità sorprendente: “Da una parte c’è l’attitudine oggi necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche che non fanno che confermare le nostre abitudini di rappresentazione del mondo; quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto la più particolareggiata possibile. Dall’altra parte c’è il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto, del rappresentare questa assenza di vie d’uscita come la vera condizione dell’uomo. Nello sceverare l’uno dall’altro i due atteggiamenti vogliamo porre la nostra attenzione critica, pur tenendo presente che non si possono sempre distinguere con un taglio netto (nella spinta a cercare la via d’uscita c’è sempre anche una parte d’amore per i labirinti in sé; e del gioco di perdersi nei labirinti fa parte anche un certo accanimento a trovare la via d’uscita). Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficoltà; ed è dunque una richiesta poco pertinente quella che si fa alla letteratura, dato un labirinto, di fornirne essa stessa la chiave per uscirne. Quel che la letteratura può fare è definire l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita, anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all’altro. È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto”.

58. Biennale d'Arte di Venezia. Padiglione Italia. Liliana Moro. Photo Irene Fanizza

58. Biennale d’Arte di Venezia. Padiglione Italia. Liliana Moro. Photo Irene Fanizza

LABIRINTO E ACTING

Ecco, è nella voluttà propria di questa mostra di ostentare il labirinto, di esibire il labirinto – e in ultima analisi di rappresentare un labirinto – che forse consiste la resa al labirinto calata nelle arti visive del 2019. ‘Sognare’ o ‘desiderare di’ non è ‘fare’, purtroppo o per fortuna; e soprattutto, per costruire una situazione metafisica occorre essere metafisici (: quindi essere de Chirico, Savinio, De Dominicis o quantomeno Garrone). Il labirinto di Né altra Né questa non è un labirinto, appunto, ma un acting, un atto rappresentativo, un dispositivo che adotta la posa (e le sembianze) di un labirinto, ma non per questo lo è o funziona come tale: prova ne è il fatto che mentre noi spettatori siamo lì dentro, non abbiamo mai la sensazione o la tentazione di perderci, semplicemente perché perdersi è impossibile; abbiamo sempre la chiave, la via d’uscita, né tantomeno troveremo mai il modo di rintracciare il famoso “passaggio da un labirinto all’altro”. Proprio perché l’acting, il mettersi in posa presiede ogni angolo, ogni relazione possibile, ogni incontro, all’imprevisto non è mai dato di accadere, di avere luogo – in quanto qualunque luogo è presidiato, calcolato, previsto, preannunciato e già pronto. Confezionato.

58. Biennale d'Arte di Venezia. Padiglione Italia. Photo Irene Fanizza

58. Biennale d’Arte di Venezia. Padiglione Italia. Photo Irene Fanizza

LA CONFEZIONE

La “confezione”, insomma, potrebbe essere il problema più grande di questa odierna Sfida al Labirinto, riflettendo in questo alla perfezione il difetto più vistoso di molta arte contemporanea, il suo limite più forte e una delle ragioni più importanti della sua paralisi: il fatto che ogni gesto e ogni opera siano impacchettati, costretti all’interno di un recinto narrativo, di un racconto formale che non ci lascia alcuna scelta, alcuno spazio, alcuna libertà. Un packaging fisico e concettuale talmente rigido da soffocare in questo caso le opere dei tre artisti (Enrico David, Chiara Fumai, Liliana Moro), le loro potenzialità ‒ anche negative, eventualmente ‒ e i loro significati autonomi.
Guardando con attenzione, poi, ci accorgiamo che questa strana ‘assenza di vitalità’ è forse ciò che accomuna il Padiglione Italia presente a quelli, diversissimi peraltro, del 2017 (Il mondo magico, a cura di Cecilia Alemani) e del 2015 (Codice Italia, a cura di Vincenzo Trione): non vi sembra che in queste tre mostre spiri po’ la medesima aria lugubre? Forse questo aspetto qualcosa ci dice – di importante proprio perché oscuro, rimosso, non detto e non riconosciuto – a proposito dell’arte italiana ufficiale e istituzionale negli ultimi anni, di come essa venga percepita e rappresentata, e del suo rapporto non contingente ma profondo proprio con il territorio della “posa”, dell’acting, della finzione. È un aspetto che sicuramente meriterebbe di essere approfondito, nel momento in cui finalmente un dibattito culturale degno di questo nome venisse avviato a proposito di Né altra Né questa. La sfida al labirinto.

Christian Caliandro

Trappole dell’acting (I). May You Live in Interesting Times

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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