Speranze, utopie e politica. I Paesi BRICS alla Biennale di Venezia

Non una macro-area, ma una realtà economica diffusa: quelle che erano le cinque realtà emergenti più affidabili ‒ Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica ‒ sono oggi attori importanti sulla scena della finanza mondiale, pur alle prese con contraddizioni e problematiche interne. E da questo mix di passato e futuro, che sembrano convivere in paradossale, tumultuosa armonia, nascono differenti soluzioni per affrontare il futuro.

IL RITMO DELLA LOTTA – BRASILE

Bárbara Wagner & Benjamin de Burca, Swinguerra, 2019. Courtesy Fundação Bienal de São Paulo. Photo Riccardo Tosetto

Bárbara Wagner & Benjamin de Burca, Swinguerra, 2019. Courtesy Fundação Bienal de São Paulo. Photo Riccardo Tosetto

La musica e il ballo sono profondamente radicati nella cultura brasiliana, in parte ereditati dal Portogallo, in parte assorbiti dalle popolazioni africane giunte qui a partire dal XVI secolo; rito identitario e religioso, così come celebrazione di uno stile di vita solare e spensierato che cerca di dimenticare le tante miserie quotidiane, ballare, in Brasile, è anche un atto artistico di integrazione sociale. Per questo, il curatore del Padiglione Brasile. Gabriel Pérez-Barreiro, ha scelto il duo Wagner & de Burca, autori di Swinguerra, lungometraggio sullo stile di danza Swingueira, nato a Recife negli ultimi anni; la mostra è imperniata sulla proiezione a due canali: il film e i brevi ritratti di chi vi ha preso parte. Si realizza appunto il binomio di cui sopra, attraverso la fusione di due differenti recitazioni, nel film e nel raccontare la propria biografia. Documento e finzione si amalgamano in una danza d’immagini che è un tripudio di parole, suoni e colori, fra swing, brega e passinho, e storie di povertà ed emarginazione. Danza (e quindi arte), come mezzo di riscatto.

www.labiennale.org/it/arte/2019/partecipazioni-nazionali/brasile

MISTICA UTOPIA – RUSSIA

Pavilion of Russia, Lc 15:11-32, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Francesco Galli

Pavilion of Russia, Lc 15:11-32, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Francesco Galli

Due installazioni multimediali di ampio e scenografico respiro caratterizzano un Padiglione dal sapore mistico e storico-sociale, simile per grandiosità e atmosfera al romanzo dostoevskiano L’idiota. Il Museo dell’Ermitage, primo caso del genere alla Biennale, ha direttamente organizzato e curato questa riflessione artistica che prende le mosse dalla tela Il figliol prodigo di Rembrandt, che Alexander Sokurov utilizza come impianto registico metaforico: nel riprodurre una sala dell’Ermitage e uno studio d’artista, li immagina affacciati su scene di violente manifestazioni di piazza e di guerriglia urbana. L’altro capitolo di questa narrazione è costituito dall’installazione simile a una quinta teatrale di Alexander Shishkin-Hokusai che, ispirandosi alla scuola fiamminga di Rembrandt, riproduce i congegni meccanici del Palazzo d’Inverno, il medesimo davanti al quale si consumò, nel gennaio del 1905, la tragica Domenica di Sangue. Affiancati nel Padiglione, i due artisti riflettono sul ruolo della cultura, e dell’arte nello specifico, come “coscienza della società”, se l’artista, come il dostoevskiano principe Myškin sia l’angelico messaggero di pace che annuncia un’era nuova per la società.

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NEL SEGNO DI GANDHI – INDIA

Pavilion of India, Our time for a future caring, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Italo Rondinella

Pavilion of India, Our time for a future caring, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Italo Rondinella

La non violenza come forma d’arte, secondo il pensiero di Mohandas Karamchand Gandhi. Cadendo nel 150esimo anniversario della nascita del Mahatma, la seconda partecipazione dell’India alla Biennale di Venezia è una riflessione sociale lungo un secolo di arte nazionale. In linea con lo spirito voluto da Rugoff, gli artisti indiani di oggi e di ieri dimostrano di concepire il carattere civile del loro ruolo. Dai bozzetti di Nandalal Bose per il Congresso di Haripaura del 1938, con scene di vita e lavoro di villaggio, passando per le pitture moderniste di Maqbool Fida Husain che negli Anni Cinquanta cercò di ridefinire il concetto di “indianità”, fino all’installazione di G.R. Iranna, composta di centinaia di paduka (i sandali di legno portati anche da Gandhi), sfila l’India del passato che ha lottato, anche con il supporto del Mahatma, per uno sviluppo che tenesse conto dei diritti umani e della conservazione delle tradizioni. Dall’altro lato, l’India di oggi, che in parte ha mancato questi scopi e per questo, come recita il titolo del Padiglione, intende usare il presente per costruire il futuro. Partendo da un’installazione video di Jitish Kallat, che riproduce la lettera di Gandhi a Hitler, in cui, con toccante candore, gli chiede (purtroppo invano) di rinunciare alla guerra: metafora delle conseguenze sul futuro quando si fa un cattivo uso del presente. La pietra è invece uno dei simboli della contraddittoria India di oggi, nell’interpretazione di Ashim Purkayastha; usata nelle bidonville, con plastica e cartone, per costruire fragili rifugi, e usata dalle forze dell’ordine per disperdere le occasionali proteste di poveri e diseredati. Ed è su questa piaga che l’India moderna dovrebbe recuperare l’insegnamento di Gandhi.

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ALL’OMBRA DI MAO – CINA

Pavilion of the People’s Republic of China, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Italo Rondinella

Pavilion of the People’s Republic of China, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Italo Rondinella

A caratterizzare il Duemila (in una sorta di conferma delle teorie futuriste), la simultaneità intesa come superamento del tempo e dello spazio; l’incontro caotico di culture differenti, il bombardamento mediatico di notizie, immagini opinioni supera distanze e fusi orari. Il Padiglione Cina propone un sistema integrato di opere d’arte dai differenti linguaggi, allestite non in maniera tradizionale ma come una sorta di flusso di coscienza capace di disorientare, incuriosire, affascinare il pubblico, fra installazioni luminose, pitture visionarie, sculture biomorfe, istallazioni luminose. La simultaneità suggerita dall’allestimento ha però anche un significato politico: quello di proporre la via cinese alla modernità attraverso un secondo grande balzo in avanti condotto in una logica di organicità. La saggezza del passato risiede, insospettabilmente, nella riscoperta di criteri maoisti e nel tentativo di riassorbire definitivamente artisti e intellettuali alla causa del partito.

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ANCORA IN ATTESA – SUD AFRICA

Pavilion of the Republic of South Africa, The stronger we become, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Italo Rondinella

Pavilion of the Republic of South Africa, The stronger we become, 2019. Courtesy La Biennale di Venezia. Photo Italo Rondinella

Superato l’apartheid, restano in Sud Africa profonde differenze fra ceti ricchi e poveri, larghissime sacche di analfabetismo nelle aree rurali e un alto tasso di diffusione dell’AIDS e violenza sulle donne. La riflessione dei tre artisti scelti dalle curatrice Nikule Mabaso e Nomusa Makhubu ha a che fare con la grande capacità di resilienza del popolo sudafricano, dall’emblematico titolo The stronger we become. Tracey Rose affronta la condizione femminile con un lavoro fotografico di stampo teatrale, che cerca di rompere gli stereotipi di una società maschilista. Dineo Seshee Bopape, invece, ricostruisce la memoria storica del suo anno di nascita, il 1981, attraverso installazioni dal carattere narrativo, focalizzata sui blitz performativi di Umkonto We Swizwe e altri eventi dal carattere politico: momenti artistici e meditativi, per riflettere su come gli individui assorbono la storia in maniera soggettiva. Le tele a tecnica mista di Mawande Ka Zezile sono invece ideali graffiti a carattere situazionista che rigettano l’ordine politico del mondo e l’egemonia delle ideologie. Tutte insieme, queste voci compongono un unico grido di dolore e delusione per gli obiettivi sociali mancati dal processo di unificazione e riconciliazione del Paese. Il popolo è ancora in attesa.

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Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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