Roman Opalka. Tra Milano e Venezia

Building, Milano – fino al 20 luglio // Fondazione Querini Stampalia, Venezia – fino al 24 novembre 2019. La vicenda dell’artista polacco raccontata attraverso due percorsi e contesti differenti, che giungono però alla stessa meta: la sua visione nei confronti della vita e della morte.

Dire il Tempo è la mostra che rende omaggio all’opera di Roman Opałka (Abbeville-Saint-Lucien, Francia, 1931 – Roma, 2011) attraverso una ricostruzione di inedita esaustività. Nonostante non sia una pratica consueta, la mostra è divisa in due sedi di città diverse: la prima alla galleria Building di Milano e la seconda alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, quest’ultima inaugurata proprio durante i giorni di preview della Biennale Arte 2019. Due percorsi molto diversi tra loro, che eppure giungono alla stessa destinazione: il rapporto personale intessuto dall’artista polacco con il Tempo, creando un ponte tra la vita e la morte.

LA MOSTRA DI BUILDING A MILANO

La galleria Building, grazie allo spazio espositivo che si estende su più piani e al respiro museale delle mostre, restituisce la vicenda dell’artista polacco anche nei suoi risvolti meno conosciuti. Come gli esordi, che lo vedono rinomato incisore (Les Nuages, carnet d’étudiant, del 1951). Al piano terra sono esposti i primi studi del Movimento Informale e le chine della serie Studium natemat ruchu (1959-60), griglie di piccoli tratti orizzontali e verticali che si incrociano alla ricerca di una via praticabile. La risposta la trova nel 1965, quando incide il primo Détails: con un pennello fine, segna una numerazione su una tela della stessa grandezza della porta del suo studio (che rimarrà la stessa per sempre). Le cifre sono bianche su sfondo grigio scuro, nette come la materialità terrena. È l’inizio di un cammino verso la luce, il soffuso, l’etereo: a ogni nuova tela, lo sfondo su cui si imprimono quei segni viene schiarito dell’1%, fino a diventare bianco su bianco. Nel 1968, invece, Opalka inserisce un nuovo elemento, la fotografia: il ritratto del suo volto, sempre della stessa espressione, si modifica inesorabilmente con lo scorrere dei giorni. Nel 1972, infine, aggiunge le registrazioni della sua voce. Ogni volta che dipinge una sequenza di numeri e si scatta una foto, enuncia dei numeri in polacco. È OPALKA 1965/1-∞ il criterio, sistematico e rigoroso, con cui l’artista si appropria del proprio tempo, tanto da realizzare le ultime opere a poca distanza dalla morte.

Roman Opalka, Esercizi, 1965. Photo Michele Alberto Sereni. Collezione Marie Madeleine Gazeau Opalka

Roman Opalka, Esercizi, 1965. Photo Michele Alberto Sereni. Collezione Marie Madeleine Gazeau Opalka

LA MOSTRA ALLA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA DI VENEZIA

Mentre nella sede milanese le opere di Opałka dominano le nude pareti della galleria e sono ordinate in modo più analitico, alla Fondazione Querini Stampalia si perdono nello spazio storicamente connotato e arredato della casa museo, senza tuttavia perdere il proprio smalto. Lo dimostrano le due tele della serie Détail, poste in una delle sale inziali: la prima, mai realizzata, proveniente dal museo polacco Sztuki, Łódź, e l’ultima della sua vita, numero 5 607 249, dalla collezione privata Lenz Schönberg. Per la prima volta i due dipinti sono esposti insieme, uno di fronte all’altro, guardandosi: sono il bianco e il nero, l’Alfa e l’Omega della vicenda terrena di Opalka, come lui stesso li definiva.

Giulia Ronchi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

Scopri di più