Vicenza capitale del Rinascimento. Una mostra la racconta

Il Rinascimento, soprattutto quello espresso dall’architettura, è tra le caratteristiche più evidenti di Vicenza. Una mostra ora entra idealmente in quelle “fabbriche” e ne indaga le arti, i processi creativi e gli aspetti più concreti: chi sono i protagonisti? Come si realizzano le opere? Quanto valgono e chi le compra?

Una pala d’altare con il Martirio di santa Caterina di Jacopo Bassano? 2,7 maiali. Una camicia super chic ricamata? 3 maiali e tre quarti. E due rilievi in bronzo di Tiziano Aspetti con episodi della vita di San Daniele? Più di 90 maiali. Ma lo splendido ritratto di due cani sempre di Bassano, che al Louvre è esposto nella stessa sala della Gioconda, “costa” meno di un maiale, mentre la croce in cristallo di rocca inciso da Valerio Belli vale praticamente un allevamento di suini, con 333,3 esemplari. Penserete che ci stiamo prendendo gioco di voi, e invece il discorso è serissimo e fondato su ricerche approfondite, complesse e i cui risultati sono ora al centro dell’ultima sezione della mostra La fabbrica del Rinascimento, allestita nel Salone dei Quattrocento della Basilica Palladiana di Vicenza. Il progetto espositivo vuole infatti mettere in luce tutti gli aspetti che caratterizzavano la produzione artistica tra la metà del Cinquecento e il 1585, anno di morte di Andrea Palladio. E la coda del percorso ha le caratteristiche più inedite. Di fronte all’ampia varietà di valute circolanti in quei decenni, infatti, i curatori si sono trovati di fronte a un busillis: come far capire ai visitatori i valori che la società del tempo assegnava alle opere d’arte? Ecco allora che si è trovata una quadra nel maiale “mezanotto”, una sorta di analogo contemporaneo nel Big Mac Index: “un criterio unificante e utilizzabile per avere una idea il più possibile obiettiva sul costo della vita o il potere d’acquisto”, come scrivono i curatori in catalogo.
E i valori snocciolati nell’incipit ci forniscono altre informazioni assai interessanti, sotto certi aspetti sorprendenti: la pittura da cavalletto nel Cinquecento era tutto sommato alla portata di molti cittadini, anche non particolarmente abbienti. A fare da padroni nel costo finale delle opere d’arte erano infatti i materiali (il bronzo o il rarissimo cristallo di rocca), la complessità della loro lavorazione (ad esempio gli arazzi) e la rarità dei manufatti, ed ecco che il prezzo delle “antichità” era da capogiro.

Jacopo Tintoretto, Sant’Agostino risana gli sciancati, 1551 ca.. Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati. Photo Marta Santacatterina

Jacopo Tintoretto, Sant’Agostino risana gli sciancati, 1551 ca.. Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati. Photo Marta Santacatterina

COME LAVORAVANO GLI ARTISTI NEL RINASCIMENTO?

Le chiavi di lettura con cui si può leggere la mostra sono numerose: ci si può concentrare sui tanti capolavori esposti (c’è un Tintoretto, il suo primo dipinto realizzato fuori da Venezia, da togliere il fiato), oppure sul processo creativo che porta l’artista del Cinquecento a tradurre l’idea in opera finita (da qui le sezioni sulle stampe che circolavano numerose, veicolando le opere del Rinascimento romano, nonché sul rapporto tra disegni e dipinti, sui bozzetti, sulle copie) o ancora sulla relazione tra artisti e committenti e tra artisti e artisti.
E quest’ultimo è un altro tema di grande fascino e interesse: la scintilla da cui è scaturito il progetto è infatti la relazione tra quattro personaggi che vengono definiti “eroi”: l’architetto Andrea Palladio, il pittore Paolo Veronese, lo scultore Alessandro Vittoria e un secondo pittore, Jacopo Bassano. I primi tre in particolare si trovarono coinvolti nel rinnovamento della piccola Vicenza che, soprattutto grazie al geniale architetto, vide fiorire splendidi ‒ e modernissimi ‒ palazzi pubblici e privati, senza parlare del sistema delle ville disseminate nel contado (e chi non conosce le cosiddette “Ville Venete”?). I tre artisti, oltre a lavorare insieme negli stessi cantieri, furono peraltro amici. Bassano viene convocato in mostra perché rappresenta uno sguardo più provinciale ma di non minore qualità, né meno aggiornato sulle novità del Manierismo, e basti citare la sua Adorazione dei Magi, nella quale è evidente la conoscenza di Parmigianino, che si riconosce nella figura della Madonna con il Bambino.

VICENTINI: MERCANTI E MOLTO ALTRO

E poi i committenti, capaci di comprendere la portata delle novità di Palladio: ebbero il coraggio di scegliere un’architettura nuova per le loro dimore, rivoluzionaria rispetto a una città ancora impregnata di edifici tardo-gotici. Non solo: si scopre che i committenti, compresi i nobili, erano spesso ricchi mercanti di seta che esportavano in tutta Europa. I rampolli viaggiavano in Germania e negli altri Paesi, avviando imprese che facevano dell’export il loro core business. Ma dall’estero portavano nella piccola Vicenza anche tensioni verso una religiosità riformata, tanto da venire in numerosi casi accusati di eresia, come successe a Iseppo Porto (in mostra il suo ritratto di Paolo Veronese). E poi le donne: non solo compagne di mariti dediti al commercio, ma esse stesse imprenditrici capaci.
Operosi, ricchi, colti, con lo sguardo puntato lontano: così erano i cittadini della Vicenza di allora (solo di allora?). Vicentini che capirono peraltro che per riuscire ad affermarsi nell’assai dinamico scenario europeo conquistando posizioni economiche di prestigio, nonché un’alta reputazione, non bastavano merci e commerci: servivano altri due fattori considerati irrinunciabili, la cultura e le arti. La speranza ‒ esplicitata da Guido Beltramini nell’affascinante narrazione dell’audioguida ‒ è che una tale profonda consapevolezza guidi anche le scelte dell’amministrazione della Vicenza di oggi, e il milione e 200mila euro investiti in questa mostra (500mila euro sborsati da Marsilio Arte) sono un ottimo segno in questa direzione.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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