La condizione umana. Una mostra finalmente “politica”, a Palermo

La rassegna ospite di Palazzo Ajutamicristo di Palermo evoca, attraverso scatti, installazioni, video, testi e documenti, il tema della malattia mentale, partendo dalla battaglia basagliana. La follia è una 'condizione umana', diceva Franco Basaglia. Proprio come la ragione. Un viaggio oltre la superficie del pregiudizio e l'istituzione manicomiale.

Non c’è che dire, l’esposizione intimorisce. Non tanto per l’ampia superficie messa a disposizione nel quattrocentesco Palazzo Ajutamicristo. E nemmeno per la quantità di reperti ufficiali, fortunosi ritrovamenti e interventi di artisti che solo una passione “politica” come quella della curatrice Helga Marsala ha reso possibile.
È l’argomento in sé a creare un fortissimo senso di disagio. Terenzio diceva, oltre duemila anni fa, “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” e a noialtri nipotini risulta impossibile non rispecchiarci nel dolore sordo inflitto per secoli ai “malati di mente”. Come è stato possibile non comprendere prima? Perché qui non è possibile scaricare su nessuno “straniero” quello che la nostra avanzatissima cultura e il nostro straordinario “progresso scientifico” sono riusciti a combinare.
Ma andiamo con ordine. Ad aprirci gli occhi a un certo punto (Anni Sessanta) è arrivato un “profeta” che ha cominciato a “incrinare” ogni precedente pluri-secolare; lo ha fatto in un periodo particolarmente favorevole a operazioni del genere: era il 1968. Dieci anni dopo, esattamente il 13 maggio del 1978, il Parlamento italiano approvava la Legge n. 180, ribattezzata col nome dell’uomo che ne aveva ispirato i principi, inizialmente irriso dai colleghi e sempre poco compreso dal “popolo”, una strenua battaglia per la chiusura dei manicomi. Franco Basaglia. Psichiatra, neurologo, saggista, direttore degli ospedali di Gorizia, Colorno, Trieste, per dieci anni tenne acceso un dibattito pubblico sulle dinamiche sociali di individuazione e cura del “malato di mente”, promuovendo una nuova concezione della disciplina psichiatrica.
In Che cosa è la Psichiatria Basaglia, nel 1967, scrive: “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere”.
“Medicina democratica” (da lui fondata nel 1973) e “antipsichiatria” sono termini che oggi a un millennial dicono niente, caduti in disuso causa rimozione totale di quella che fu la temperie del ’68. Basaglia di quella temperie però è un figlio, un protagonista elitista, un fiancheggiatore (ah! orribile vocabolo). Inutile negarlo, Basaglia era uno straordinario intellettuale “impegnato” (altro vocabolo caduto nell’oblio), capace di coniugare attivismo politico, pensiero scientifico e ricerca artistica. Non esitò dunque a lanciare un S.O.S anche agli artisti: bisognava entrare nei manicomi e ritrarne la realtà, svelando l’indicibile chiuso tra quelle mura. Per mutare gli approcci terapeutici tradizionali alla malattia mentale, fondamentali furono i libri, gli studi di medici pionieri e straordinari intellettuali, le loro conferenze, gli articoli di denuncia, ma anche le fotografie, le opere d’arte e i documentari che contribuirono a spalancare quell’inferno e a innescare riflessioni importanti.

La condizione umana. Oltre l'istituzione totale. Exhibition view at Palazzo Ajutamicristo, Palermo 2018-19. Reperti dall'xx Ospedale Psichiatrico di Palermo. Photo Dario Di Vincenzo

La condizione umana. Oltre l’istituzione totale. Exhibition view at Palazzo Ajutamicristo, Palermo 2018-19. Reperti dall’xx Ospedale Psichiatrico di Palermo. Ph. Dario Di Vincenzo

ESPERIENZE E STORIE

Proprio da qui è partita Helga Marsala per costruire questa mostra: rintracciando esperienze, storie, visioni, installazioni, immagini pittoriche, fotografie e film.
La legge che mise fine all’esistenza dei manicomi nasceva da una rivoluzione che fu anche e soprattutto politica e filosofica” ‒ spiega Marsala nell’introduzione alla mostra. “Spogliati di sé, ridotti a numeri di matricola e foto segnaletiche, sovente sottoposti a trattamenti feroci (dall’elettroshock alla lobotomia), i ricoverati perdevano lo status di ‘persone’. Una comunità informe, confinata in uno spazio totalizzante: qui la follia era indotta, esasperata, circoscritta. Impressa a fuoco sulla carne”.
A Palazzo Ajutamicristo la visita al vasto corpus di opere raccolte contempla un ampio focus dedicato a un nucleo di fotografie: quelle di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, realizzate in diversi ospedali psichiatrici col coordinamento di Basaglia e confluite nel suo celebre saggio “Morire di classe” (1969). Quelle di Luciano D’Alessandro, che a metà degli Anni Sessanta frequentò il Manicomio Materdomini di Nocera Superiore. Quelle di Uliano Lucas, dagli Anni Settanta ai nostri giorni. E ancora quelle scattate nel periodo che segue l’approvazione della Legge 180, gli scatti colmi di candore realizzati nei primi Anni Ottanta da Letizia Battaglia e Franco Zecchin nell’ex manicomio di Palermo.
Non sappiamo dire se sia stato il caso o una precisa scelta estetica a destinare questa mostra al quarto piano di Palazzo Ajutamicristo. Perché non riusciamo a immaginare ambiente più adatto. Su una parete intonsa ‒ la costruzione quattrocentesca ha subito una ristrutturazione solo parziale ‒ stanno allineate tre piccole sedie impagliate, sopra ognuna di loro una lavagnetta percorsa da nomi e cognomi femminili tracciati con il gessetto bianco. Consato Giuseppa, Vinci Anna, Mafatti Concetta: provocano un tuffo al cuore. Helga Marsala le ha recuperate alla Vignicella. “Su una sedia come questa veniva fatto sedere il paziente all’entrata dell’ospedale. Gli si chiedeva di scrivere il proprio nome sulla lavagnetta. Da quel momento aveva perso ogni diritto, da lì in poi la sua discesa all’inferno diveniva certa”, spiega Marsala.
Negli interni del palazzo che ospita la mostra la luce è perfetta, il pavimento, i muri e gli infissi molto meno: ma passare da una sala a una corridoio qui diventa un’avventura che si attaglia perfettamente alla narrazione dei fatti.

Christian Fogarolli, Satelliti, 2017, still da video

Christian Fogarolli, Satelliti, 2017, still da video

NON SOLO FOTOGRAFIA

Non si tratta, tuttavia, di una mostra esclusivamente fotografica. Sono esposti, tra gli altri, i lavori su carta di Bruno Caruso, pittore, incisore e disegnatore palermitano che nel 1953 varcò la soglia della Real Casa dei Matti, ex ospedale psichiatrico di Palermo. Qui la sua produzione, scrive la curatrice, “è orientata al grottesco, al drammatico, al perturbante, al festoso e all’irregolare”. Non sfugge l’allestimento di Enzo Umbaca, ricavato da una serie di autoscatti in polaroid di pazienti dell’ospedale psichiatrico “Paolo Pini” di Milano, che descrivono attraverso questo strumento la loro quotidianità. Di grande impatto risulta il ready made di Christian Fogarolli, che nell’archivio/museo della Vignicella di Palermo recupera e riattiva un impressionante plastico dell’ex cittadella psichiatrica palermitana: essa appare dapprima come un enorme accampamento militare, ma finisce con l’aggrapparsi all’immaginario – distorto o meno ‒ che tutti noi abbiamo della pianta in scala del campo di concentramento di Auschwitz.
Da segnalare, per il suo esplicito taglio politico, anche la proposta del collettivo palermitano Fare Ala, che si è concentrato sulla figura del poeta Mario Scalesi, tra i maggiori autori di letteratura francofona del primo Novecento, che fu rinchiuso presso l’ospedale psichiatrico di Palermo, dove venivano spediti gli alienati provenienti dalle colonie: circa trecento fra italiani e libici. Scalesi muore dopo sei mesi in modo misterioso. Il tentativo di Fare Ala è quello di riaccendere l’attenzione sulla violenza coloniale, la marginalità e la stigmatizzazione sociale come strumenti di controllo e di potere.

La condizione umana. Oltre l'istituzione totale. Exhibition view at Palazzo Ajutamicristo, Palermo 2018-19

La condizione umana. Oltre l’istituzione totale. Exhibition view at Palazzo Ajutamicristo, Palermo 2018-19. Ph. Dario Di Vincenzo

E ancora fotografie, video, materiali editoriali, sculture, tra Stefano Graziani, Massimiliano Carboni & Claudia Demichelis, Eva Kotatkova, Domenico Mangano & Marieke Van Rooy, Federico Lupo.  Sono diversi anche i documentari storici proposti dalla mostra. I giardini di Abele di Sergio Zavoli, ad esempio, che nel 1968 fa entrare le telecamere della Rai nel manicomio di Gorizia, diretto da Basaglia. O il lungometraggio Matti da slegare del 1975, diretto da Bellocchio, Agosti, Petraglia, Rulli, che sul modello del cinema-verità raccoglie in un compendio insieme poetico e straziante i racconti dei malati su cui vale la pena di soffermarsi, dopo essersi attrezzati della necessaria resistenza empatica.
Bellocchio, Zavoli, Berengo Gardin, Lucas, fino al politico Mario Tommasini, esponente del PCI di Parma e Assessore  provinciale, che nel ’69 guidó l’occupazione del manicomio di Colorno: sono solo alcuni dei molti che si prodigarono in ogni modo e forma per aiutare Basaglia o che comunque ne condivisero i principi nel tempo. Erano motivati esclusivamente da un’adesione ideale alla sua filosofia politica. Della generosa temperie apertasi nel maggio del ‘68 nelle strade di Parigi ma conclusasi nell’ Italia negli anni di piombo tra folli stragi di stato (Milano, Brescia, Bologna) ed estremismi deliranti (Autonomia Operaia, Brigate Rosse, Proletari Armati), il lascito forse più positivo resta proprio la critica e lo scardinamento dei concetti di normalità e malattia, celebrata in questa mostra allestita esattamente quarant’anni dopo l’entrata in vigore della” Legge Basaglia”.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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