John Cage: il silenzio non esiste

Ripercorriamo uno dei concetti cardine dell’opera di John Cage: l’uso del silenzio, importante quanto le note. Ma a pensarci bene, veramente silenzio non è mai. In qualsiasi situazione, persino dentro a una camera anecoica, si può udire qualcosa…

Il 18 maggio 1973, in Texas, dal palcoscenico di un liceo di Dallas, uno studente proclamò: “Solo per iniziare a capire la musica di John Cage, è necessario esaminare alcune delle sue idee e  filosofie più importanti, a prescindere dal fatto che le si condivida o no. Prima di tutto, c’è il suo uso del silenzio. Per Cage, il silenzio è una parte integrante di un brano musicale, che ha la stessa importanza delle note suonate. Fra l’altro, vorrei ricordarvi che il silenzio totale non esiste se non in un vuoto pneumatico: ovunque vi siano persone o qualsiasi forma di vita vi sarà qualche tipo di suono. Nei suoi lavori, dunque, Cage non usa mai il silenzio assoluto, ma semmai le varietà di suono generate dalla natura o dal traffico, che normalmente passano inosservate e non vengono considerate musica…” (da Il silenzio non esiste, di Kyle Gann). Perché secondo John Cage i rumori “sono utili alla nuova musica quanto le cosiddette note musicali, per il semplice motivo che sono suoni”, come scrive in Silenzio, il suo libro cult pubblicato nel 1961. E ancora: “la musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere, o nel battito del cuore, e soprattutto nei silenzi. Dovunque ci troviamo, quello che sentiamo è sempre rumore. Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina”.

John Cage, 4'33''

John Cage, 4’33”

Il più delle volte però, a differenza dello studente texano, i frequentatori abituali delle sale da concerto si ritrovarono letteralmente a gambe all’aria di fronte a novità di tale portata, alle quali assistevano del tutto inermi, così come i rappresentanti delle più assopite gerarchie musicali. Cambiamenti così significativi scompaginarono profondamente il mondo musicale contemporaneo, con trasformazioni tali da delineare un vero e proprio spartiacque nella storia della musica, stabilendo un prima e un dopo 4’33’’.
Come spiega il compositore e musicologo Kyle Gann – critico per vent’anni del Village Voice – nel suo libro Il silenzio non esiste (Isbn Edizioni): “indirettamente, 4’33’’ guidò gli sviluppi che generarono un nuovo stile più semplice e accessibile, il minimalismo. Come locus di ermeneutica storica, 4’33’’ può essere considerato la conseguenza dell’esaurimento della tradizione classica ipertrofica che lo aveva preceduto, uno sgomberare il terreno che permise a una nuova era musicale di ripartire da zero”. Tutto questo accadeva in un momento in cui, per i compositori americani, il percorso verso un’autenticità nazionale era tutt’altro che delineato, i modelli formali erano ancora quelli ereditati dall’Europa, e mancava una chiara traccia sonora americana da cui attingere.
E a proposito delle funzioni del silenzio durante un concerto pubblico, Giancarlo Cardini osserva come “se le sperimentiamo invece da soli, per esempio in casa ascoltando su disco, supponiamo 4’33’’ o un qualunque altro pezzo di Cage molto ‘silenzioso’ (per esempio Waiting), o di altri autori, la percezione che se ne ha appare diversa. L’esperienza domestica del silenzio ‘ascoltato’ in un disco si risolve, almeno per me, in grandissima noia, mentre quella vissuta nei luoghi deputati alla musica sprigiona una grande tensione” (da Oltre il Silenzio. La musica dopo John Cage, a cura di Michele Porzio, Auditorium Edizioni).

Mario Brunello - Silenzio

Mario Brunello – Silenzio

Mario Brunello nel suo Silenzio (Bologna, Il Mulino, 2014) fa notare invece come “da una composizione musicale quale 4’33’’ e dalla sua esecuzione ci si aspetta una rappresentazione sonora di un pensiero e di una forma. Ci si trova invece davanti a un’azione che non si compie attraverso i consueti canoni, ma che mette in attesa, sospende un significato conosciuto, quello sonoro, per rivelare un silenzio sconosciuto. Un’assenza di suono-rumore quasi totale, che dapprima lascia spazio a uno smarrimento comune, a un silenzio immobile, per poi stemperarsi e lasciare che le reazioni più disperate prendano coraggio. Uno spazio in cui il silenzio, ovvero l’accettazione dei suoni esistenti, diventa musica e a cui solo l’orologio e il tempo prescritto dal compositore mettono fine”.
Il brano, di cui furono realizzate tre versioni piuttosto differenti, veniva presentato per la prima volta il 29 agosto 1952 a Woodstock, New York, ‘eseguito’ da David Tudor. La partitura originale usata nel 1952 per la première del lavoro andò perduta, così il pianista la ricostruì per ben due volte intorno al 1989 in base ai suoi ricordi, producendone due versioni leggermente diverse.
Fu grazie agli esperimenti fatti all’interno della camera anecoica se Cage arrivò a proclamare che il silenzio non esiste: “dopo essere andato a Boston mi recai in una camera anecoica dell’università di Harvard. Tutti quelli che mi conoscono sanno questa storia. La ripeto continuamente. Comunque, in quella stanza silenziosa udii due suoni, uno alto e uno basso. Così domandai al tecnico di servizio perché, se la stanza era tanto a prova di suono, avevo udito due suoni. ‘Me li descriva’, disse. Io lo feci. Egli rispose: ‘Il suono alto era il suo sistema nervoso in funzione, quello basso il suo sangue in circolazione’”. Cage così concluse: “Dunque, non esiste una cosa chiamata silenzio. Accade sempre qualcosa che produce suono”.

Paolo Tarsi

 

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Paolo Tarsi

Paolo Tarsi

Musicologo e compositore, dal 2010 fa parte del collettivo Argo con cui prende parte alla pubblicazione di una serie di romanzi collettivi. Suoi studi sono apparsi su riviste specialistiche e rivolgono particolare attenzione alla musica del secondo Novecento, ai rapporti…

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