Consigli di lettura estivi. Con Tiziano Scarpa

Negli scorsi mesi ve ne abbiamo parlato a più riprese. Ma se ancora non avete letto “Il brevetto del geco” di Tiziano Scarpa, recuperate mentre siete in vacanza. Ve lo consigliamo caldamente.

Cominciamo dalla copertina. L’illustrazione di Massimo Caccia riproduce il lato frontale di una lavatrice. Nello spazio dell’oblò, un geco. La superficie dello stesso oblò – fidatevi – è in teflon. La combinazione di questi tre elementi potrebbero spiegare l’intreccio delle due (più una) storie, prima alternate e poi avviluppate e poi di nuovo sciolte, che costituiscono Il brevetto del geco di Tiziano Scarpa [qui trovate le recensioni di Luca Bertolo e Christian Caliandro].
Perché ne parliamo nella rubrica Stralcio di prova? Perché questo è lo spazio dedicato alle narrazioni che chiamano in causa l’arte. E una delle due storie, quella che vede protagonista Federico Morpio, ci casca dentro perfettamente. Federico è un artista quasi quarantenne, macerato dall’invidia ma sempre più consapevole. Consapevole della mediocrità del proprio lavoro, delle proprie sensazioni, dei propri asti. E questa coscienza di sé e dell’ambiente matura nel momento in cui, per un evento (in)atteso, si allontana dalla mania. Che poi questo capiti a Venezia, a pochi giorni dalla Biennale, è uno dei paradossi sui quali è costruito il romanzo.

L'intervento di Dan Flavin alla Chiesa Rossa di Milano

L’intervento di Dan Flavin alla Chiesa Rossa di Milano

In realtà, imbevuta d’arte è anche l’altra storia. Perché l’avvicinamento alla fede avviene tramite capolavori che solo per semplicità possiamo definire d’arte sacra (la Chiesa Rossa di Milano con i neon di Dan Flavin; la Cena in Emmaus di Caravaggio: “È quasi una bestemmia, questo quadro, perché trasforma in una durata quello che Gesù aveva voluto fosse soltanto un attimo”; il Padiglione della Santa Sede in Biennale). E per la visionarietà di quel cronovisore che Adele e Ottavio inseguono fino all’Isola di San Giorgio Maggiore, e che veramente (non) fu inventato da Padre Pellegrino Maria Ernetti.
I motivi per leggere il libro si moltiplicano. Lasciamo per ultima la lingua, l’accumulazione ora fluida ora incalzante – ora ideogrammatica – alla quale Scarpa sottopone il flusso narrativo.

João Maria Gusmão e Pedro Paiva. Papagaio, Installation view, HangarBicocca, Milano

João Maria Gusmão e Pedro Paiva. Papagaio, Installation view, HangarBicocca, Milano

Ancora non basta? L’ennesimo valore aggiunto risiede nel fatto che l’autore parla dell’artworld con piena cognizione di causa – e non succede spesso, e in questa rubrica lo abbiamo sovente sottolineato. Qualche prova? “L’epoca a cui era appartenuto Cattelan non era in grado di sopportare la disperazione senza che fosse avvolta in un packaging scherzoso. I suoi erano pacchi-regalo avvelenati”. Facile citare Cattelan? In quanti però ci mettono insieme, per dire, João Maria Gusmão e Pedro Paiva oppure Ragnar Kjartansson? Facile citare Artissima? C’è anche The Others. E poi le note estetico-sociologiche: “Il sublime contemporaneo procura un sacro rancore: ci si sente una nullità dinanzi all’economia, invidiando sgomenti il monumentale potere del denaro”.

PS: se amate Artribune, c’è anche lui, a pagina 84.

Marco Enrico Giacomelli

Tiziano Scarpa – Il brevetto del geco
Einaudi, Torino 2016
Pagg. 336, € 20
ISBN 9788806203115
www.einaudi.it

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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