Piero della Francesca e il mito interrotto

Diciamolo subito: le opere di Piero della Francesca esposte nella mostra che porta il suo nome sono quattro. Ma a Forlì non si mette in scena un’affabulazione. L’obiettivo non è, infatti, quello di spiegare l’arte del celebre aretino, bensì di rintracciare le tracce del suo mito attraverso i secoli.

UNA MOSTRA DA DIBATTERE
Le mostre di Forlì sono fatte per aprire un dibattito, non per chiuderlo”, afferma Gianfranco Brunelli – direttore generale del comitato scientifico – che orgogliosamente non si risparmia qualche frecciata, sottolineando l’impostazione critica di Piero della Francesca. Indagine su un mito, rispetto a tante altre mostre “prese in affitto e a buon mercato”.
Un’operazione decisamente rischiosa e senza dubbio non facile, sia per chi l’ha organizzata sia per chi vedrà i risultati del lungo lavoro di ricerca, ma che per la prima volta mette a fuoco la fortuna nel dibattito storiografico e artistico di Piero della Francesca (1415-1492): una fortuna che fu immediata e folgorante per i suoi contemporanei ma che nei secoli successivi vide un profondo e completo oblio che coinvolse gran parte dell’arte quattrocentesca, tanto da far quasi dimenticare e trascurare l’esistenza di affreschi e dipinti che oggi sono considerati assoluti capolavori.

LA RISCOPERTA CRITICA E ARTISTICA
I quattordici studiosi coinvolti, presieduti da Antonio Paolucci, hanno rintracciato le origini della fama e poi della riscoperta di Piero, avvenuta a cavallo tra Otto e Novecento, prendendo le mosse dalla monografia, corredata di un gran numero di dettagli fotografici – anch’essi riprodotti in mostra –, di Roberto Longhi del 1927 e scavando nel passato fino a risalire alle meditazioni di Seurat su Piero, conosciuto attraverso le copie delle opere, come quelle, straordinarie per dimensione e portata, eseguite da Charles Loyeux del 1872.
Un altro passo indietro e si scopre come Puvis de Chavannes avesse ammirato gli affreschi di Arezzo nel 1848, come Degas avesse verosimilmente conosciuto Piero a Firenze nel 1858 e come sempre in quegli anni, grazie alla possibilità di salire sui ponteggi del restauro compiuto agli affreschi aretini dal purista Gaetano Bianchi, il pittore quattrocentesco fosse diventato punto di riferimento per i macchiaioli.
Straordinarie e innumerevoli testimonianze documentano passo passo questo progressivo recupero: citiamo per tutte i disegni a calco delle Storie della Vera Croce eseguiti dall’inglese Layard, le cui riproduzioni colpirono indelebilmente il mondo anglosassone.

Massimo Campigli, Le cucitrici, 1925, olio su tela. Museo Statale Ermitage, San Pietroburgo

Massimo Campigli, Le cucitrici, 1925, olio su tela. Museo Statale Ermitage, San Pietroburgo

IL NOVECENTO DI PIERO
E poi il Novecento, “il secolo di Piero” e del Ritorno all’ordine: tra omaggi espliciti e riferimenti a classicismo, perfezione geometrica, ieraticità e monumentalità, una vastissima selezione di opere sfiora le produzioni di Carrà, Morandi, Funi, Casorati (con la sua Silvana Cenni, che è un’autentica trasposizione laica e “italiana” della Madonna della Misericordia di Sansepolcro), ma anche di Capogrossi ancora realista, di Guidi, Donghi e molti altri.
Se tutto ciò non bastasse, ecco La Spiaggia (La fotografia) di Massimo Campigli, del 1937: un dipinto di più di 14 metri di lunghezza realizzato per gli uffici della Ferrania a Roma, progettati da Gio Ponti. Se il tema è la fotografia, il nitore e il ritmo compositivo sono profondamente debitori di Piero.
L’ultima sala ci porta nella seconda metà del Novecento, con Balthus ed Edward Hopper: se per il primo sono certi gli influssi che hanno avuto le opere pierfrancescane, per il secondo l’accostamento è più azzardato e preferiamo intenderlo come una suggestione che estende i confini del mito al di là dell’oceano.

Giovanni Bellini, Compianto, 1473-76, olio su tavola. Musei Vaticani, Città del Vaticano

Giovanni Bellini, Compianto, 1473-76, olio su tavola. Musei Vaticani, Città del Vaticano

INTORNO AL MONARCA DELLA PITTURA
Al centro di tutto lui: con la Madonna con il Bambino di Newark – ultima opera che gli è stata riconosciuta – che sul retro reca una tarsia ormai attribuita con certezza a Piero, con il San Girolamo di Venezia, con la già citata Madonna della Misericordia di Sansepolcro e con la Sant’Apollonia di Washington.
Attorno a queste quattro “icone” è esposto quel mondo quattrocentesco che ha colto in pieno la pittura tonale e l’impianto geometrico del “monarca della pittura”, come lo definì il suo allievo Luca Pacioli: da Melozzo a Giovanni Bellini, dalle tarsie di Cristoforo da Lendinara a Ercole de’ Roberti, da Signorelli a Palmezzano, si riconoscono le cifre di Piero che viaggiano di regione in regione, di corte in corte.

CONFRONTI COSTRUTTIVI
Ma, per concludere, osserviamo l’apertura di questa mostra. L’amante dell’ingegnere di Carrà (1921) dialoga silenziosamente con la Battista Sforza di Francesco Laurana (1474): un dipinto e una scultura realizzati a distanza di quasi cinquecento anni ma che, insieme, sono un’efficace sintesi della ricerca che si sviluppa nelle sale successive e si è posta lo scopo – a nostro avviso riuscendoci – di rendere espliciti e completi i rispecchiamenti, le suggestioni e gli omaggi che, dal Quattrocento a oggi, hanno visto protagonista Piero della Francesca.

Marta Santacatterina

Forlì // fino al 26 giugno 2016
Piero della Francesca. Indagine su un mito
comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci
Catalogo Silvana Editoriale
MUSEI SAN DOMENICO
Piazza Guido da Montefeltro 2
0543 712659 / 199 151134
[email protected]
www.mostrefondazioneforli.it

MORE INFO:
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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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