Il mondo è bello. E anche la sua forma

Dopo la tappa berlinese, il Jeu de Paume di Parigi accoglie la prima retrospettiva francese dedicata a Eva Besnyö, fotografa ungherese. Il sui lavoro è frutto di una costante tensione tra documento sociale e sperimentazione estetica. Fino al 23 settembre.

Una nuova realtà, quella della strada, si iscrive nelle foto di un’epoca densa di eventi politici. Eva Besnyö (1910-2003) è un’artista ungherese ebrea meno nota al grande pubblico di alcuni suoi colleghi (Robert Capa, ad esempio) ma non per questo meno incisiva nel panorama fotografico degli Anni Trenta. Gli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale, per intenderci. Quelli dove il terrore e la disgregazione, benché non ancora presenti e compatti davanti agli occhi, si potevano già annusare nell’aria. L’odore della tragedia era già lì, da qualche parte, bastava solo saperlo fiutare. A presagire una realtà nuova, Eva aveva iniziato dall’Ungheria, dove lavorava con József Pécsi, fotografo ritrattista e pubblicitario di fama internazionale. Nel 1929 riceve il libro Die Welt ist schön (Il mondo é bello) di Albert Renger-Patzsch, precursore della Nuova Oggettività. Fu un libro che le aprì gli occhi.
Mentre in tutta l’Ungheria dominava il Pittorialismo – la fotografia considerata non come semplice mezzo di riproduzione del reale ma più vicina al mondo emotivo e rappresentazionale della pittura (l’antenato di Instagram, insomma) – il libro si soffermava sulla necessità di una fotografia vergine e violenta, essenziale e drammatica come solo la vita può essere. Inizia così una serie di ritratti di persone comuni, il più possibile realistici, ravvicinati e con prospettive inusuali.

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Eva Besnyö - Narda, Amsterdam - 1937 - Collezione privata, Berlino - © Eva Besnyö / Maria Austria Instituut Amsterdam

Eva partirà poi appena ventenne per Berlino, dove scoprirà un universo artistico vivace e dinamico. “Fino ad allora ero una bella addormentata nel bosco”, dice. Perché Berlino? Perché all’epoca “era sopratutto il formalismo che mi interessava. Il Bauhaus e tutto il movimento tedesco” (intervista del 2 novembre 1991 con Marion Beckers e Elisabeth Moortgat).
La ricerca della forma perfetta è qualcosa che ritorna ossessivamente nel percorso fotografico della Besnyö. Da una parte c’è lo sporco della strada, i corpi sudati delle officine tedesche, le campagne deserte dell’Olanda, dove le case degli agricoltori spiccano con i loro tetti a punta su un orizzonte fatto solo di terra arata e cielo. Dall’altra, alla ricerca del reale rispetto all’effimero si aggiunge l’influenza estetica rivoluzionaria della Nouvelle Vision: una grammatica stilistica che prevede delle inquadrature dal basso verso l’alto e viceversa, un gusto particolare per l’oggetto isolato e per la sua ripetizione.

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Eva Besnyö - Senza titolo (Carbonaio) - Berlin, 1931 - Collezione Stedelijk Museum, Amsterdam - © Eva Besnyö / Maria Austria Instituut Amsterdam

Ed è qui che il percorso artistico della Besnyö raggiunge il suo compimento: il dominio completo della forma. Di fronte a un mondo che sembra sommessamente disgregarsi, che sembra deteriorarsi come i primi muri che crollano sotto i bombardamenti, ecco che la forma fotografica, con le sue inquadrature decise che irrompono nel reale, sembra ricostituire una certa forma di ordine e controllo. È d’altronde la Besnyö stessa ad affermare che “agli inizi, era la forma ad importarmi più di tutto, più del tema trattato. Poi fu lentamente l’inverso, fino alla fase femminista. Poi di nuovo, la forma ha ripreso a dominare. La forma è essenziale per me, la composizione viene prima di tutto”.
Una continua ricerca, quindi, in cui non è solo un nuovo reale, concreto e caotico, ad insinuarsi nella fotografia, ma soprattutto una nuova forma: esigente, rigorosa, eccentrica. Eccentricità che viene un po’ penalizzata dal percorso espositivo, che risulta piatto e insolitamente cupo.

Greta Travagliati

Parigi // fino al 23 settembre 2012
Eva Besnyö 1910-2003: l’image sensible
LE JEU DE PAUME
1, Place de la Concorde
+ 44 (0)1 47031250
[email protected]
www.jeudepaume.org

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Greta Travagliati

Greta Travagliati

Greta studia semiotica a Bologna e si laurea con una tesi sul concetto di rappresentazione nell'arte contemporanea. Appassionata di Maigret, scappa a Parigi dove inizia a lavorare nel campo della comunicazione e delle ricerche di mercato. Non sa scrivere autobiografie.

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