La distruzione del patrimonio culturale è un crimine di guerra. Sentenza storica: L’Aia condanna a 9 anni un terrorista del Mali

Ahmad al-Faqi al-Mahdi condannato dalla Corte penale internazionale per la distruzione di storici edifici religiosi nel Mali, tra cui nove mausolei e il portale della moschea Sidi Yahia a Timbuktu

Chi abbia anche una sommaria infarinatura di giurisprudenza, sa bene che in mancanza di una sanzione, gran parte delle norme nate per punire atti illeciti perde di efficacia. Da anni ormai l’opinione pubblica e i media – anche noi fra questi – assistono alle gratuite aggressioni di terroristi di varia estrazione al patrimonio storico-culturale di regioni spesso con millenni di storia alle spalle, una furia iconoclasta e cieca che tutti condannano, suggerendo soluzioni e provvedimenti quasi sempre inascoltati e puntualmente inefficaci. Questo anche perché mancava la sanzione: mancavano fattispecie giuridiche capaci di individuare esplicitamente i reati connessi in questa delicata materia, e di conseguenza mancavano sanzioni e chi le applicasse con autorità. Mancavano: visto che la giornata di oggi 27 settembre passerà alla storia per la prima volta in cui la distruzione del patrimonio culturale è stata trattata – e di conseguenza sanzionata – come un crimine di guerra. Laddove ha sempre fallito l’ente sovranazionale preposto alla protezione, ovvero l’Unesco, ha dato un segnale molto forte la Corte penale internazionale dell’Aia.

Edifici distrutti a Timbuktu

Edifici distrutti a Timbuktu

SIRIA E IRAQ NON RISPONDONO ALL’AIA
La vicenda era già nota, anche noi ne avevamo scritto: riguarda il primo processo in cui la demolizione di siti culturalmente significativi veniva appunto considerata alla stregua di un crimine di guerra, e vedeva alla sbarra Ahmad al-Faqi al-Mahdi, membro del gruppo islamico Ansar Dine ritenuto molto vicino ad al Qaeda, responsabile di aver dato nel 2012 ordini relativi alla distruzione di una serie di storici edifici religiosi nel Mali, tra cui nove mausolei e il portale della trecentesca moschea Sidi Yahia a Timbuktu. Oggi dunque la storica sentenza, che ha condannato al-Mahdi a 9 anni di carcere: l’accusa aveva chiesto 30 ani, ma la corte ha considerato molte circostanze attenuanti, tra cui la sua ammissione di colpa e la collaborazione con gli inquirenti. “Tutte le accuse mosse contro di me sono circostanziate e corrette“, ha ammesso Al Mahdi in tribunale, scusandosi con la sua famiglia, la città a Timbuktu, lo stato del Mali e la comunità internazionale. “Sono sinceramente dispiaciuto e pentito per tutti i danni che le mie azioni hanno causato“. Un precedente destinato a rivoluzionare la materia? Solo in parte, visto che Siria e Iraq – gli scenari oggi più sensibili per i crimini contro il patrimonio culturale – non rientrano nella giurisdizione della Corte dell’Aia.

IL COMMENTO DI FRANCESCHINI
Non si fa attendere il commento di Dario Franceschini, Ministro dei beni culturali e promotore dell’iniziativa internazionale che ha portato alla creazione dei Caschi Blu della cultura. “La sentenza del corte penale internazionale afferma un principio fondamentale per la tutela  del patrimonio culturale dell’umanità.  Si tratta di un passo importante verso la costruzione di un sistema internazionale per la salvaguardia dei beni storici, artistici e archeologici nelle aree di crisi, al quale l’Italia sta collaborando attivamente con la costituzione della prima task force Unesco Unite4heritage”.

– Massimo Mattioli

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Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

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