Basel Updates: il racconto in breve di tutte, proprio tutte le fiere collaterali

Itinerario breve e ragionato, per orientarsi nella costellazione delle fiere a latere di Art Basel. Cosa ci ha convinto e cosa ci ha lasciato perplessi in questa affollata settimana dell’arte contemporanea...

Fatta eccezione per Liste, che mantiene un livello parecchio alto e di cui vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi, le fiere collaterali ad Art Basel deludono. Non lo si può dire in altro modo. Peccano collettivamente di selezione, per cui ricorre il giudizio “qualcosa di buono però l’ho visto”. Ma ovviamente non basta, perché siamo a Basilea, perché la main fair fagocita denaro e attenzione, perché non si possono mischiare professionisti (galleristi e soprattutto artisti) con amatori. I quali meritano tutto il rispetto, ma che in una fiera durante la Basel week sono fuori luogo.
A rimetterci sono proprio i professionisti, e in particolari gli italiani: la quasi totalità delle gallerie nostrane ha portato progetti interessanti, tenuto alta la qualità, ma in contesti spesso imbarazzanti. E qui si potrebbe aprire un doloroso capitolo: perché quelle gallerie non sono a Liste, ad esempio? Cosa non va nel nostro sistema dell’arte, in forza (o meglio, in debolezza) del quale troviamo un solo show di Luigi Presicce organizzato dalla Galleria Bianconi di Milano in una Scope inqualificabile?
Voto 7,5 (per Liste)

Design Miami Basel 2016

Design Miami Basel 2016

DESIGN MIAMI/ E PHOTO BASEL
Fanno un po’ storia a sé, visto il loro evidente taglio disciplinare e tematico. Di Design Miami/ vi abbiamo già parlato qui, raccontandovi nel dettaglio la sezione Design at Large curata da Martina Mondadori Sartogo. E questo succede nel basement. Al primo piano, e intorno all’“occhio” firmato Herzog & de Meuron che sovrasta la Messeplatz, sfilano le top galleries del design storico e di ricerca. Ineccepibile, ma alla vista di chi si occupa d’arte fa più effetto Salone del Mobile che sezione Objects di miart, ovvero molto fiera e poco curatela. Ma non è necessariamente un male in questo contesto e nel mondo del design. Quanto a Photo Basel, nata nel 2015, il problema sta probabilmente nel cambio di sede. Non ha giovato passare dall’Ackermannshof, l’ex fascinoso studio di Dieter Roth, alla Volkshaus: quest’ultima era perfetta per l’esordio di I never read due anni fa, mentre per le gallerie la si è dovuta pannellare fittamente di scadente cartongesso. E il risultato non è affatto soddisfacente. Vedremo se il prossimo anno si cambierà ancora location. Restano comunque diverse chicche tra stand mal montati…
Voto 6,5 per Design Miami; Voto 5,5 per Photo Basel

Volta, veduta della fiera, 2016

Volta, veduta della fiera, 2016

VOLTA
Era nata come fiera iper-curata (in senso artistico e ambientale), con una prima edizione newyorchese addirittura memorabile. Poi il calo sostanziale. Non c’è più traccia dell’“obbligo” di fare dei solo show all’interno degli stand, la sede basilese è la solita – comoda ma non particolarmente affascinante –, l’offerta piuttosto altalenante. E qui torniamo al discorso iniziale: gallerie come The Flat e Laura Bulian in questo contesto contribuiscono ad alzare un livello medio non esaltante.
Voto 5,5

Scope, veduta della fiera, 2016

Scope, veduta della fiera, 2016

SCOPE
Finalmente abbandonato il tendone nella terra di nessuno lungo il Reno, Scope rientra in città, in centro città. Occupa la hall e gli ultimi tre piani di un edificio in via di rifunzionalizzazione in una strada vicinissima al quartiere fieristico principale. Certo, dirimpetto ci sono i bar con le camere a ore, a uso dei “signori” che si avvalgono delle prestazioni delle numerose prostitute che ancheggiano in strada, ma non ci formalizziamo. Il problema è che non basta cambiare sede per far sembrare migliore una fiera in cui il kitsch e offusca anche quel po’ che c’è di buono. Stand che raggiungono il parossismo del trash e tante, tante edizioni, stampe, serigrafie, secondo e terzo mercato. Tra le italiane Wunderkammern, Bianconi, Francesca Antonini e anche Colombo stanno, anche qui, decisamente sopra la media.
Voto 3

The Solo Project, veduta della fiera, 2016

The Solo Project, veduta della fiera, 2016

THE SOLO PROJECT
Qui il discorso raggiunge l’acme. Bene il cambio di sede, che permette alla fiera di entrare in un’area molto interessante della città, a due passi dallo Schaulager, accanto alla nuova Accademia e all’Haus der Elektronische Kunst. Ma piange il cuore vedere la galleria di Renata Fabbri, quella di Anna Marra e quella di Luca Tommasi accanto a stand imbarazzanti in un contesto di vuoto pneumatico di visitatori. Giudicate voi dalle foto se stiamo esagerando. La tipica fiera in cui gli unici a guadagnarci sono gli organizzatori? Ci auguriamo di no per chi ha speso denaro ed energia. Però poi, dal prossimo anno, fatevi due conti.
Voto 4 (di incoraggiamento per la scelta della sede in una zona emergente di cui sentiremo molto parlare nei prossimi anni)

I never read, veduta della fiera, 2016

I never read, veduta della fiera, 2016

I NEVER READ
Secondo anno negli spazi della Kaserne, ma espandendosi in altri due locali dello stesso complesso. Una fiera come si deve. Bello il clima, tanta gente interessata e appassionata, una proposta che punta sulla ricerca e sulla qualità, con stampatori ed editori da tutto il mondo, piccoli, piccolissimi talvolta, ma anche con qualche presenza più established (Lars Müller o le edizioni della galleria belga Almine Rech) che non sposta di una virgola quanto detto finora. La fiera dove, quando esci, pensi: “Ne è valsa la pena, vederle tutte”.
Voto 7

– Marco Enrico Giacomelli

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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