Film italiani trasmessi alla tv per legge? Un esempio di politica culturale “a braccio” del ministro Franceschini

Il Presidente della Repubblica Mattarella approfitta della cerimonia di presentazione dei candidati ai David di Donatello per lanciare un generico appello alle televisioni a sostenere il nuovo cinema italiano. E il ministro dei beni culturali Dario Franceschini si precipita a rilanciare con una nota ufficiale: poche righe, neanche una diecina, ma sufficienti a inanellare una […]

Il Presidente della Repubblica Mattarella approfitta della cerimonia di presentazione dei candidati ai David di Donatello per lanciare un generico appello alle televisioni a sostenere il nuovo cinema italiano. E il ministro dei beni culturali Dario Franceschini si precipita a rilanciare con una nota ufficiale: poche righe, neanche una diecina, ma sufficienti a inanellare una serie di corbellerie da record. “Le parole del Presidente sono giustissime e noi stiamo lavorando per rafforzare le norme sul tema“. E qui già la preoccupazione sale: norme sul tema? Ovvero leggi? E il “tema” quale sarebbe? Il comunicato aiuta a dissipare i dubbi: “Ma anche senza nuovi obblighi di legge – ha aggiunto il ministro, bontà sua – dovrebbe bastare un po’ di volontà di fare sistema e un po’ di sano orgoglio nazionale per farlo”.
Dunque, andiamo con ordine: il nostro ministro ci dice che sta lavorando a delle norme che dovrebbero – cosa che capita facciano le norme – imporre qualcosa. E se abbiamo capito bene, quel qualcosa dovrebbe essere una forma di obbligo alle televisioni italiane a trasmettere dei film italiani. E anche qui Franceschini ci soccorre: “Per questo mi rivolgo a Rai, Mediaset, La7, Sky per chiedere di dedicare una prima serata ogni settimana ad un nuovo film italiano. Sarebbe un modo concreto di valorizzare i talenti e l’industria del settore, avvicinando anche gli spettatori alla qualità e originalità del nostro cinema“.
Quindi: cinema nazionale imposto – non lo si esclude – per legge. Un protezionismo che farebbe impallidire il Minculpop, o la Russia sovietica del primo Eisenstein: il cinema italiano è in crisi, non piace agli italiani, che – salvo rari casi – non fanno le corse per vederselo? Bene, e allora noi glielo imponiamo. Per legge, anzi per norma. Una politica che si disinteressa delle disgraziate sorti della televisione, che si guarda bene dal predisporre norme strutturali di sostegno al cinema, interviene così, a braccio, con un’idea strampalata, giusto perché l’ha detto Mattarella. Pensando di fare qualcosa di utile nel mandare un film in tv, quando ormai da anni i film si vedono on demand, e a breve con Netflix. Ultima domandina: e di cosa prenderanno il posto, nella sgangherata programmazione tv, questi film commissariati? Franceschini oserà togliere per una sera agli italiani appoltronati un Flavio Insinna per metterci – per dire – un Virzì?

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Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

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