Terremoto al tribunale. L’ex patron del Premio Grinzane Cavour, Giuliano Soria, trascina a fondo Augias a Chiamparino, Elkann e Bresso

Ci capita raramente, e lo facciamo pure malvolentieri, di occuparci di cronaca giudiziaria. Nel caso del processo d’appello durante il quale prende per la prima volta la parola Giuliano Soria, l’ex patron del Premio Grinzane Cavour, corre invece l’obbligo. Perché ricorda, fatte le debite proporzioni, l’esordio di Tangentopoli. O almeno quello che avvenne nel Parlamento […]

Ci capita raramente, e lo facciamo pure malvolentieri, di occuparci di cronaca giudiziaria. Nel caso del processo d’appello durante il quale prende per la prima volta la parola Giuliano Soria, l’ex patron del Premio Grinzane Cavour, corre invece l’obbligo. Perché ricorda, fatte le debite proporzioni, l’esordio di Tangentopoli. O almeno quello che avvenne nel Parlamento italiano vent’anni fa, con Bettino Craxi che dichiarava serenamente che come lui – come il Partito Socialista – facevano tutti. E lo stesso, in certo qual modo, ha dichiarato Soria. Ad abbeverarsi alla ricca kermesse, secondo le sue accuse – che sono tutte da provare, va da sé –, ci sarebbero stati proprio tutti. E giù con una lista di nomi da far accapponare la pelle, da Augias ed Elkann a Chiamparino e assessori “storici” per il Piemonte come Alfieri e Oliva, passando da loro – gli scrittori – descritti come voraci sanguisughe. Insomma, ce n’è per tutta la filiera, dalla politica agli operatori. E il fil rouge è la cultura, o almeno quell’ambito sociale, professionale e per l’appunto politico. Si dirà che era tempo di vacche grasse e che qualche milione dilapidato non è un dramma, a fronte di decine e centinaia di quegli stessi milioni buttati al vento per ragioni ben più prosaiche. E invece no. Il benaltrismo è un cancro che va debellato con cure energiche. Fossero anche pochi spiccioli – ammesso e non concesso che Soria stia dichiarando il vero – allora bisognerà reagire con fermezza. Perché non possono essere le medesime persone a piangere ora per i risicati budget delle nostre istituzioni culturali, mentre qualche anno fa gozzovigliavano impunemente con quei denari che ora darebbero ossigeno a musei e festival. Ed è altrettanto chiaro che qui nessuno chiede populistiche pene esemplari o gogne più o meno metaforiche. Basterebbe semplicemente che si restituisse il maltolto (con gli interessi) e che si venisse radiati a vita da ogni tipo di carica politica, da ogni ordine professionale di appartenenza, da ogni contatto anche solo sporadico e marginale con il patrimonio pubblico. Come a dire: hai sbagliato, paghi e non ti fai più vedere. Mai più.

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