Milano celebra Mimmo Rotella: prime immagini da Palazzo Reale per la mostra omaggio curata da Germano Celant. Che tace sul caso Expo

I cronisti se ne fregano, piuttosto legittimamente, dell’etichetta. E quindi non si lasciano frenare dal fatto che il contesto, la location, l’occasione invitino a parlare di ben altro: l’occasione di trovarsi Germano Celant davanti è troppo ghiotta, l’atmosfera è insolitamente frizzante per quella che dovrebbe essere una classica canonica preview stampa. Più flash del solito […]

I cronisti se ne fregano, piuttosto legittimamente, dell’etichetta. E quindi non si lasciano frenare dal fatto che il contesto, la location, l’occasione invitino a parlare di ben altro: l’occasione di trovarsi Germano Celant davanti è troppo ghiotta, l’atmosfera è insolitamente frizzante per quella che dovrebbe essere una classica canonica preview stampa. Più flash del solito a Palazzo Reale, dove in queste ore si alza il sipario sulla retrospettiva dedicata a Mimmo Rotella, ma le opere per un attimo passano in secondo piano: perché tutti vogliono sapere del caso Expo, di quei 750mila euro che il re dei critici è in predicato di ottenere per occuparsi del settore arte di Milano 2015.
A domanda non risponde, Celant: no comment secco, più che seccato. E indicazioni precise per chi, a margine della presentazione, si accredita per eventuali interviste: si parla di tutto, ma non di “quello”.
Resta allora la mostra, che si focalizza in modo scaltro e doveroso sul decennio cruciale per la formulazione del linguaggio di Rotella, tra 1954 e 1963: ovvero dai primi esperimenti formali fino alla consacrazione ottenuta con l’invito alla Biennale di Venezia. In mezzo un percorso coerente, che restituisce all’artista quel merito in parte ingiustamente offuscato dalla reiterazione degli anni successivi, dalla speculazione sulla maniera. I pezzi storici aggrediscono lo sguardo con forza virulenta, e funzionano a maggior ragione perché accompagnati da quelli di epigoni e precursori, inconsapevoli (o meno) compagni di viaggio. Come la schiera di Futuristi e simili, da Baj a Prampolini, e poi ancora Manzoni e Warhol, fino a un immancabile – ma tutt’altro che banale – Villeglé.

– Francesco Sala

 

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