Diario d’artista: giorno secondo. Giovanni Gaggia racconta la residenza di Regina José Galindo al Rave Village Artist Residency

Il secondo giorno inizia alle 7 con un buon caffè. Devo riordinare le idee dopo un sonno agitato in cui le impressioni della giornata di ieri si sono susseguite senza tregua. La residenza di Regina José Galindo si svolge in un casale immerso nel verde raggiungibile con una strada che s’incunea in una montagna fiancheggiata […]

Il secondo giorno inizia alle 7 con un buon caffè. Devo riordinare le idee dopo un sonno agitato in cui le impressioni della giornata di ieri si sono susseguite senza tregua. La residenza di Regina José Galindo si svolge in un casale immerso nel verde raggiungibile con una strada che s’incunea in una montagna fiancheggiata da vecchie cave. Ci accoglie Rita, del Circolo Culturale CHEJ di Sant’Ermacore, che ci apre le porte di casa preparandoci dei deliziosi piatti vegani. Ne nasce subito un confronto acceso, si parla del paradosso di quei vegani che per vivere hanno bisogno di farmaci ottenuti dagli animali. Regina, vegetariana, racconta degli uomini dei corpi speciali in Guatemala che per essere addestrati alla resistenza emotiva sono lanciati col paracadute nella giungla con un cucciolo del quale per sopravvivere sono costretti a cibarsi. Mi tocca profondamente la violenza raccontata da Regina, tutto in lei rimanda a quel vissuto, lo sguardo acuto, penetrante, la forza resistente dei racconti della vita al suo paese.
La giornata è un susseguirsi di incontri, discussioni e sopralluoghi per la performance di sabato prossimo. Ci confrontiamo sulla relazione uomo-animale, quell’altro da sé più debole col quale s’identifica come donna d’origini Maya. Mi sorprende sempre il suo coraggio, il suo agire in una società profondamente maschilista che umilia le sue donne e che è costretta da quest’artista a porsi domande sull’altro, sull’attenzione, sul rispetto. È la prima volta, dice alla conferenza di Casa Cavazzini a Udine, che gli animali diventano parte del suo lavoro. L’intento è creare un ponte fra il luogo che la ospita ed il suo paese. Pecora nera, dunque, quale metafora del diverso, del reietto, dell’essere più debole di tutti….

– Giovanni Gaggia

 

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