Italiani all’estero. Gian Maria Tosatti torna a New York. Un’installazione all’Hessel Museum indaga le contraddizioni dell’identità americana. Foto e video in anteprima

Un rapporto che continua, quello tra Gian Maria Tosatti e New York. Fatto di lunghi momenti d’osservazione, di brevi fughe, di esplorazioni e di meditazioni. Un dialogo  affilato col tessuto identitario di un luogo: la sua storia, i suoi edifici, i suoi ricordi, i volti e i gesti che si sono sedimentati. Tosatti aveva già […]

Un rapporto che continua, quello tra Gian Maria Tosatti e New York. Fatto di lunghi momenti d’osservazione, di brevi fughe, di esplorazioni e di meditazioni. Un dialogo  affilato col tessuto identitario di un luogo: la sua storia, i suoi edifici, i suoi ricordi, i volti e i gesti che si sono sedimentati.
Tosatti aveva già realizzato due installazioni al Lower Manhattan Cultural Council, su quell’isoletta chiamata Governors Island, dove un tempo crescevano, a pane e disciplina, i cadetti dell’esercito americano. E dove adesso arrivano, al loro posto, giovani artisti in residenza. Lavorando come di consueto con l’anima segreta di spazi densi di memoria, Tosatti aveva ragionato sul senso della solitudine, delle illusioni coltivate e del vuoto esistenziale, consumati nel cuore di una città-vertigine.
Quella stessa città a cui adesso dedica un altro progetto, commissionato dall’Hessel Museum of Art. Ancora una stanza, da esplorare da soli, in silenzio, come in un varco spazio-temporale. Lasciando fuori il rumore del quotidiano. Ambiente spoglio e un senso malinconico diffuso, quasi una patina tra il grigio ed il seppia, a inghiottire i muri, il mobilio povero, gli occhi dei visitatori. L’armadio, la sedia, il lavabo, l’orologio, sono arredi anni Cinquanta, tipici degli uffici pubblici newyorchesi: un balzo indietro fino al maccartismo, con quell’idea di libertà sempre sventolata, e insieme quello stato di tensione fredda che nutriva la guerra al comunismo. E dunque il sospetto, il controllo, l’occhio opaco del potere.

Ancora contraddizioni, per Tosatti, legate all’identità americana ed esplorate come si esplora una stanza, un simbolo, un ricordo. Nel vuoto di uno spazio che non ha più ragione né funzione: camminarci è sentirsi, in qualche modo, osservati. Controllati. Come se qualcuno potesse sbucare da una porta immaginaria. Le ante del piccolo guardaroba saranno, per i più curiosi, l’esca perfetta. Aprendole, e appurata l’assenza del fondo, come in una fiaba d’infanzia ci si inoltra in un cunicolo buio, che porta chissà dove. Nove metri da percorrere per poi trovarsi al punto di partenza. Stavolta, però, dietro l’invisibile cabina di regia. Lo specchio appeso al lavandino è adesso la finestra da cui si osserva la stanza, sapendo di non essere visibili all’ipotetico, successivo visitatore.
E da osservati si diventa osservatori, in uno switch. Il ruolo s’inverte e la logica del sospetto, dispiegata tra massa e potere, si fa ambivalente. In un cortocircuito che dischiude l’angoscia, sussurrando domande nuove.

Helga Marsala

Gian Maria Tosatti, HomeLand
a cura di Cloé Perrone
Hessel Museum of Art – 33 Garden Rd, Annandale-on-Hudson, New York
opening: 13 aprile 2014, ore 13-16
fino al 25 maggio, 2014
www.bard.edu

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

Scopri di più