Quest’opera non è in vendita: ma solo in affitto. Matteo Attruia lancia il progetto “For Rent”, con un light-box pensato per passare di casa in casa. Riflessione ironica sulle impalpabili variabili del mercato…

Quell’opera dà davvero un tono all’ambiente: un po’ come il famigerato tappeto de Il grande Lebowsky. Però costa. Perché va riconosciuto il lavoro dell’artista e pure quello del gallerista; perché non siamo in Spagna dove abbassano l’IVA sulla compravendita delle opere d’arte di sette punti percentuali. Ma siamo in Italia: dove già se dici “cultura” […]

Quell’opera dà davvero un tono all’ambiente: un po’ come il famigerato tappeto de Il grande Lebowsky. Però costa. Perché va riconosciuto il lavoro dell’artista e pure quello del gallerista; perché non siamo in Spagna dove abbassano l’IVA sulla compravendita delle opere d’arte di sette punti percentuali. Ma siamo in Italia: dove già se dici “cultura” i più sentono prudere dalle parti della fondina, se poi specifichi che si tratta di “arte” il dito toglie la sicura, azzardi “contemporanea” e si alza il cane fino al tlac!, non ha il tempo di azzardare un “giovane emergente” che ti resta il tempo di percepire l’odore di bruciato e vedere il refolo di fumo uscire dalla canna. E dunque, già che si è nel più labile dei precariati, perché non giocarci su ‘sta condizione di labilità flebile? Nasce allora For Rent, progetto di rotture degli schemi tradizionali ideato da Matteo Attruia. Un piccolo light box riproduce il classico cartello bianco e rosso degli “affittasi” all’americana, simile ai tanti che dal collasso di Lehman Brothers in poi siamo stati abituati a vedere nei servizi del tg; la firma infantile dell’artista campeggia nello spazio riservato all’offerta, sbattuta sulla parete con la stessa dignità di un 3×2 al discount. Non si compra For Rent, non si può comprare: nemmeno per un milione di dollari. Si affitta e basta. Passa di casa in casa, di ufficio in ufficio, arricchendosi della memoria muta delle pareti che occupa, dei vissuti di cui si trova ad essere implicitamente testimone. Arriva nella sua cassetta da imballaggio e riparte.
Per provare a fermarla ci si può prenotare alla Galleria PoliArt di Milano, che organizza la circuitazione del lavoro; se proprio si trova intollerabile l’idea di non averla per sempre si può pensare di comprare uno degli scatti in edizione limitata che la fissano in forma di foto.
E ora, prima che scatti la raffica del “l’ho già visto”, mettiamo le mani avanti: lo sappiamo, e sicuramente lo sa anche Attruia, che c’è già stato e c’è chi affitta opere d’arte. Partendo dalla napoletana 1Opera di Pietro Tatafiore, ad esempio, galleria che aveva lanciato solo pochi mesi fa il progetto Art for rent; e arrivando all’articolo 14 del ddl sulle semplificazioni scritto dal governo Letta – chissà che fine farà ora! – che apriva la porta all’affitto dei pezzi conservati nei magazzini dei musei statali. Qui si tratta, però, di tutta un’altra cosa: cioè di un’opera che nasce per essere affittata. Costruita sul concetto di affitto. La differenza c’è eccome.

– Francesco Sala


Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Francesco Sala

Francesco Sala

Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

Scopri di più