Massimo Minini a Milano. Ecco la fotogallery dalla preview della mostra che celebra i primi quarant’anni di attività del gallerista: a brindare con lui Nino Migliori, Mimmo Jodice, Jan De Cock…

Non c’è niente da fare. I grandi galleristi, ma grandi per davvero, si divertono e divertono. È gente di spirito, dalla battuta facile e sempre in canna, chissà se per esorcizzare le follie degli artisti o perché in fondo matti lo sono un po’ anche loro. Prendi un Pio Monti o un Giorgio Marconi, e […]

Non c’è niente da fare. I grandi galleristi, ma grandi per davvero, si divertono e divertono. È gente di spirito, dalla battuta facile e sempre in canna, chissà se per esorcizzare le follie degli artisti o perché in fondo matti lo sono un po’ anche loro. Prendi un Pio Monti o un Giorgio Marconi, e ancora un Enzo Spadon. Gente che ha fatto la storia dell’arte contemporanea in questo Paese, tra un “sequestro” di Andy Warhol e furenti braccio di ferro con Mario Schifano; gente schietta e diretta, lontana anni luce dalle glacialità che fanno di tante giovani gallerie miseri cubicoli per hipster. Destinate a passare velocissime come l’allungo di una bici a scatto fisso.
Potrà piacere o meno, essere condivisa o svalutata, incorrere in lodi sperticate o incappare nella giaculatoria dei complottisti che vogliono l’artista avulso da logiche economiche. Ma i quarant’anni di attività di Massimo Minini meritano i riflettori concessi a partire da oggi dalla Triennale di Milano, per la prima mostra mai dedicata a uno spazio che nasce, vive e morirà come commerciale. La prova del nove, più che dal curriculum di una galleria che ha portato in Italia – e in provincia – nomi altrimenti irraggiungibili, arriva dal tenore di una presentazione che strappa più sorrisi che applausi. È un’attenta azione di smitizzazione quella che Minini fa di se stesso, sornione e a tratti un po’ ruffiano nell’elencare come fossero banalità successi e incontri importanti; supportato da spalle d’eccezione: come Nino Migliori, che prende la parola per consigliargli ironicamente di lasciare l’arte e darsi alla poesia; come Jan De Cock, il più giovane tra i protagonisti di questo straordinario greatest hits. L’atmosfera è più che amichevole: si passa dall’aneddotica (“quando mi hanno detto che dei bresciani sono andati a comprare Kapoor a Londra, invece di lamentarmi sono andato a venderlo là anche io”) al gioco puro, con Minini che per primo si mette carponi per sbirciare dentro la morbida scultura di Nedko Solakov. Sullo sfondo di opere che, tra un Jan Fabre in formato gigante e pezzi storici di Sol LeWitt, rappresentano in nuce uno splendido museo d’arte contemporanea. Chissà, forse domani…

– Francesco Sala


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Francesco Sala

Francesco Sala

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