Poliziotteschi in formato blob per un drive-in d’artista: Francesco Jodice mette in scena a Milano le paranoie degli Anni Settanta, creando inedite analogie tra i thriller nostrani e la stagione del terrorismo

A fine performance è tutto uno strombazzare di clacson, caotico segno di apprezzamento meccanico che sostituisce degnamente l’applauso. Non poteva essere altrimenti in quella rimessa di via Faraday, periferia nascosta tra Famagosta e i Navigli, che Francesco Jodice sceglie come location per il suo Drive in. Inteso in senso letterale: le auto sfilano e si incastrano stiletetris alla luce […]

A fine performance è tutto uno strombazzare di clacson, caotico segno di apprezzamento meccanico che sostituisce degnamente l’applauso. Non poteva essere altrimenti in quella rimessa di via Faraday, periferia nascosta tra Famagosta e i Navigli, che Francesco Jodice sceglie come location per il suo Drive in. Inteso in senso letterale: le auto sfilano e si incastrano stiletetris alla luce di un maxi-schermo, nell’attesa condita da effluvi di salamelle alla griglia, per uno show – inserito da Tender Capital nel cartellone di Tender to Young Art – che riporta il calendario alla metà degli Anni Settanta. È la stagione del brigatismo e degli scontri di piazza, degli omicidi eccellenti e delle contestazioni; è la stagione dei poliziotteschi, fotografata nei doppiaggi fuori sincrono dei Gastone Moschin Tomas Milian di turno: Jodice costruisce una stretta analogia tra i due ambiti, quasi fossero l’uno lo specchio dell’altro. Realtà e finzione, cronaca e favola, accomunate nel segno di una violenza stucchevole e naïf, ma crudamente e crudelmente tangibile. A portata di mano, occhio, orecchio. Esiste un legame intimo tra il cinema dell’epoca e il sequestro di Aldo Moro, la fine di Pasolini e quella di Mattei; trattasi di maturazione di una nuova cognizione del dolore, di una diversa percezione del senso di violenza e – inevitabilmente – di quello di giustizia.

Milano spara titola l’opera, presagita da un’infornata di Carosello; sullo schermo passa un blob di sevizie, inseguimenti, minacce, sparatorie, rapine, mutilazioni. Montati per nuclei omogenei, con picchi di straordinaria efficacia visuale: è il caso della sezione dedicata alla figura della donna, vittima e martire; ed è il caso della raffica di inquadrature serratissime di scambi tra frizione e acceleratore, di mani che azionano cloche. Movimenti reiterati, inquadrature standard che tornano di pellicola in pellicola, a significare l’efficacia di stilemi narrativi cementati in una pratica ossessiva.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

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Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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