Striscioni d’autore in quel di Bergamo: Andrea Mastrovito, artista ultrà, coinvolto dalla Curva Nord dell’Atalanta in una performance che evoca la conquista della Coppa Italia del 1963

Trentacinque anni d’età, venticinque passati in curva. Per Andrea Mastrovito il calcio è quello che per Picasso furono le corride: passione irrefrenabile, istintiva, viscerale; estasi e martirio, spazio dove liberare le emozioni più forti, in barba alla vulgata che sgonfia il pallone come contesto becero e ignorante, ultimamente persino farlocco. E considerato che il nostro […]

Trentacinque anni d’età, venticinque passati in curva. Per Andrea Mastrovito il calcio è quello che per Picasso furono le corride: passione irrefrenabile, istintiva, viscerale; estasi e martirio, spazio dove liberare le emozioni più forti, in barba alla vulgata che sgonfia il pallone come contesto becero e ignorante, ultimamente persino farlocco. E considerato che il nostro è di Bergamo il suo orizzonte si fa neroazzurro: tessera di supporter dell’Atalanta in tasca, domenica allo Stadio Atleti Azzurri d’Italia, il posticino che aspetta in Curva Nord, i cori e la bandiere. Un artista ultrà, che nel 2012 porta alla GAMeC quasi 150 metri di installazione in carta, frottage della recinzione che ingabbia il tifo organizzato come fosse mandria da indirizzare al macello, nella patetica illusione di sicurezza rappresentata dalla tessera del tifoso.
Oggi il nostro torna a colpire, con una performance che suona come flash mob. Manca un quarto d’ora al fischio d’inizio di Atlanta – Chievo, ultima giornata di una stagione che vede la Dea conquistare l’obiettivo di una tranquilla salvezza: la più classica delle partite inutili, giocata per dovere di firma, il clima rilassato di una festa in famiglia, con gragnuola di applausi per tutti. Il tifo organizzato cala, dalla Nord, una lenzuolata che riproduce l’immagine della squadra che il 2 giugno 1963 alzava al cielo la Coppa Italia: cinquant’anni fa in campo c’era Domenghini, futuro campione d’Europa e del mondo con un’altra maglia nerazzurra, quella dell’Inter orchestrata dal Mago Herrera. Oggi sul prato di Bergamo sgambettano il giovane Livaja e Facundo Parra, eroi effimeri di un calcio globale dove i miti si aggiornano di sei mesi in sei mesi. L’azione di Mastrovito, costruita nella più stretta sinergia con gruppi ultras che sono a tutti gli effetti artisti aggiunti dell’operazione, scorre sul filo di una memoria costruita, tenera nostalgia del non vissuto, struggente canto d’amore nei confronti di un’epoca lontana e dunque mitologica. Di più: è lo stesso tifo organizzato a chiedere a Mastrovito il contributo per la coreografia, che diventa inconsapevole opera d’arte sociale, costruita insieme un tassello alla volta – gigantesco mosaico che cancella con un colpo di spugna l’immagine stereotipata che fa di una tifoseria caldissima un consesso di facinorosi. Il mondo della curva sfugge alle regole della società tradizionale: lo fa spesso nel male, ma anche nel bene, nella costruzione di un eclettico microcosmo di umanissima empatia.
Non è la prima volta che lo Stadio Atleti Azzurri d’Italia diventa oggetto di un intervento d’artista: recente il video con cui Emma Ciceri ha raccolto gli svolazzamenti delle carte rimaste sugli spalti dopo l’esodo dei tifosi, in uno straniamento magico e poetico. In barba a quanti – non sono pochi – guardano all’euforia collettiva per il pallone come ad un’estasi folle, becera, ignorante. Ci sono bellezza ed emozione in quell’ora e mezza passata ogni domenica allo stadio: guai a chi non le coglie.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

Francesco Sala

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