Street-art in chiesa: nell’anno che vede il Vaticano in Biennale esplode il fenomeno dell’arte sacra formato graffiti. L’ultima segnalazione arriva da Barcellona, dopo i casi di Washington e Kehl

Le cromie sono smaglianti, i tratti calibrati su una rigorosa e rispettosa reinterpretazione dell’arte medievale: hanno studiato e lavorato sodo Raul Sanchez Araque  e Rudi, street-artist catalani alle prese con un pezzo decisamente singolare. Perché commissionato, contro il principio fondamentale della libertà anticonformista del graffito; e perché richiesto da un sacerdote per la chiesa in […]

Le cromie sono smaglianti, i tratti calibrati su una rigorosa e rispettosa reinterpretazione dell’arte medievale: hanno studiato e lavorato sodo Raul Sanchez Araque  e Rudi, street-artist catalani alle prese con un pezzo decisamente singolare. Perché commissionato, contro il principio fondamentale della libertà anticonformista del graffito; e perché richiesto da un sacerdote per la chiesa in cui amministra il culto nel quartiere dell’Hospitalet di Barcellona. La spoglia parrocchiale intitolata a Santa Eulalia de Provençana, cuore di un’area popolare distante anni luce della atmosfere disinvolte della Rambla, vede accendere il catino absidale con un intervento spray che evoca in tutto e per tutto linguaggi e stilemi romanici: figure di impassibile ieraticità, panneggi rigorosi, composizione equilibrata e ordinata. Quasi un fake d’autore, che porta l’underground al cospetto dell’assoluto: e non si tratta della prima volta.  Nello scorso autunno era stato Hense a istoriare da cima a fondo la chiesa abbandonata al civico 700 di Delaware Avenue, a Washington, mettendo in valore un potenziale simbolo di degrado; prima ancora era toccato a Stefan Strumbel contribuire, grazie ai propri graffiti mariani, a rinfrescare la fatiscente parrocchiale del minuscolo villaggio tedesco di Goldscheuer, nei pressi di Kehl.
Profetico era stato, a fine Anni Novanta, l’incontro avvenuto sulle pagine di quel monumentale affresco dell’America post guerra fredda che è l’Underworld di Don DeLillo: arte di strada ed evangelizzazione moderna si erano incrociate e corteggiate nei più sordidi vicoli di un South Bronx dove a serpeggiare erano crack e violenza. Con l’arcigna ma volenterosa suor Edgar alle prese con l’istintiva, ingenua e – in fin dei conti eretica – fede graffitara di Moonman 157. Oggi il passaggio dalla fiction alla realtà, nuovamente nel segno di una pietas felicemente naif; francescanamente popolare. In attesa che la Chiesa di Roma porti in Biennale la visione canonica dell’arte sacra contemporanea, la “base” trova i propri linguaggi per esprimere l’assoluto con diretta semplicità.

Francesco Sala

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Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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