La più grande mostra di sempre. La Tate Modern ruba agli Usa la glorificazione di Roy Lichtenstein, noi in anteprima vi regaliamo foto e video…

Oh Jeff… I love you, too… but… È forse la telefonata più celebre del nostro immaginario collettivo: l’abbiamo vista su cartoline, magliette, borse, poster. Ora l’icona di Roy Lichtenstein si può godere dell’originale, ed Artribune è in primissima fila, come sempre, per condividere con voi l’anteprima londinese alla Tate Modern. Una mostra maestosa, quella curata […]

Oh Jeff… I love you, too… but… È forse la telefonata più celebre del nostro immaginario collettivo: l’abbiamo vista su cartoline, magliette, borse, poster. Ora l’icona di Roy Lichtenstein si può godere dell’originale, ed Artribune è in primissima fila, come sempre, per condividere con voi l’anteprima londinese alla Tate Modern. Una mostra maestosa, quella curata da Sheena Wagstaff (che da pochi mesi ha lasciato la Tate per ritrovarsi a capo del dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea del MoMA di New York)  e James Rondeau (Art Institute di Chicago), la più grande mai organizzata dalla sua morte. Gli ampi spazi della Tate sono come sempre perfetti per opere a grande formato, e di opere ce ne sono ben 160, che coprono gran parte della produzione di Lichtenstein tra il 1950 e il 1997.
Nonostante possa essere definito senza indugio il più fedele rappresentante della Pop Art, dietro all’opera del pittore americano c’è molto di più, un approccio estremamente consapevole e ironico con i mass media. Nel pieno dell’“era della riproducibilità tecnica”, Lichtenstein traspone “manualmente” tutto ciò che può essere riproducibile attraverso una pittura nuova, di impatto visivo fortissimo: grandi formati, utilizzo di una palette di colori primari, contorni neri e puntini di Benday per enfatizzare sfumature e ombre. Nella prima sezione – Brushstrokes – si può leggere tutta la parodia nei confronti dell’espressionismo astratto di Jackson Pollock e Willem de Kooning, qui visto non come action painting ma come gesto estremamente ironico e controllato. Il grande ingresso nell’aura pop avviene con Look Mickey del 1961, presente nella sezione Early Pop. Ancora degli anni ’60 la serie Black and White, mentre risalgono alla collaborazione con Leo Castelli le opere del periodo War and Romance inspirate al comic book All American Men of War and Girl’s Romances, dove vengono messi in luce tutti i cliché della cultura popolare americana, in questa sezione lo splendido Whaam! (1963) acquisito dalla Tate nel 1966.

Modern è l’interessantissimo periodo di produzione modernista, ispirato dalla grande passione dell’artista per il periodo deco e per l’architettura newyorkese degli anni ’30. La mostra chiude con i Late Nudes degli anni ’90, dove a sorpresa, proprio nel capitolo dell’artista dedicato alla figura femminile, incrociamo Dorothy Herzka, la compagna di una vita dell’artista. Per voi ricca fotogallery e video con gli speech del direttore della Tate Modern Chris Dercon e della curatrice Sheena Wagstaff.

– Barbara Martorelli

www.tate.org.uk

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