Una cerniera tra Brera e l’Isola: apre alla città piazza Gae Aulenti, tassello fondamentale per la nuova Milano. Sant’Ambrogio porta via le transenne dal cantiere di Porta Nuova firmato Cesar Pelli

Un corridoio grigioverde – siamo pur sempre a Milano! – per unire Brera e il centro storico all’Isola; un filo su cui passeggiare e pedalare, ampliando quella riserva indiana pedonale che è sempre stata corso Como; allargando lo sguardo verso modelli un po’ più europei, alzandolo con ammirazione verso una città che non  ha più […]

Un corridoio grigioverde – siamo pur sempre a Milano! – per unire Brera e il centro storico all’Isola; un filo su cui passeggiare e pedalare, ampliando quella riserva indiana pedonale che è sempre stata corso Como; allargando lo sguardo verso modelli un po’ più europei, alzandolo con ammirazione verso una città che non  ha più paura di costruire in verticale. Data simbolica quella della ricorrenza di Sant’Ambrogio, patrono della città, per consegnare ai milanesi Piazza Gae Aulenti, doverosa intitolazione dell’ultim’ora allo spiazzo soprelevato che rappresenta il cuore del progetto Porta Nuova. Dieci anni e un paio di miliardi di euro investiti da partner pubblici e privati – una decina le banche che hanno preso casa nei grattacieli che abbracciano la piazza -: uno snodo protetto dal traffico, a cui accedere attraverso il futuro parco dedicato ad Anna Politovskaya; un’area importante, affacciata  su quello scalo ferroviario di Porta Garibaldi per troppi anni considerato solo come un muro di metallo a spaccare in due la città; mai come l’opportunità in termini di connessioni veloci che in realtà può e deve rappresentare. La piazza, in sé, non ti lascia a bocca aperta: giochi d’acqua e fontane su più livelli, contenute da una panchina in pietra lunga oltre cento metri, l’installazione firmata Alberto Garutti presentata solo poche settimane fa; il progetto, firmato da Cesar Pelli, non è il Millennium Park di Chicago e nemmeno vuole esserlo, ma ha il merito di aggiornare uno skyline altrimenti ingessato.
Prime ore di apertura al pubblico un po’ intirizzite, con la colonnina di mercurio che impietosa vede lampeggiare il segno meno; è tutto ancora troppo poco vissuto per sentirsi veramente a casa: a dare una parvenza di calore umano sono giusto le vetrine della UniCredit Tower, in fase di allestimento per l’esposizione di quattordici pezzi della collezione dell’istituto di credito – Perino & Vele, Armin Bohem, Valsecchi ed altri – a partire da domani e fino al 6 gennaio.
A presentare l’evento i veri e propri padroni di casa: mezza giunta Pisapia, certo; ma soprattutto il quasi nonagenario Gerald Hines, affiancato dal Manfredi Catella, partner italiano di una multinazionale dell’immobiliare capace di investire nell’affare Porta Nuova qualcosa come 3 miliardi di euro. Altro che palazzinari. Una ventata di internazionalità rinfrancata dal concorso al progetto di studi di architettura da tutto il mondo: perché i palazzi attorno piazza Aulenti portano sì la firma di uno Stefano Boeri nel frattempo diventato assessore, ma anche quelle di William McDonough, Lucien Lagrange; Munoz + Albin e via dicendo.
Tutto molto bello, tutto molto nuovo; tutto molto simpatico se per vincere il freddo, prima delle imprescindibili bollicine da taglio del nastro, ti offrono tè caldo e cioccolata. Tutto molto assennato e rigoroso se Manfredi Catella, nel tagliare corto sul catalogo degli eroi, dei meritevoli e dei ringraziabili, non manca di tributare un ricordo commosso a Giuseppe Nava, l’unico operaio deceduto durante i lavori. Tutto talmente perfetto, quasi anglosassone, da rendere quasi rassicurante le inevitabili italianate del caso; altrimenti imbarazzanti e stucchevoli, oggi però cordino di nylon che ti tiene aggrappato alla realtà. Perché Milano avrà anche cambiato volto con il cantiere di Porta Nuova, sarà anche – a detta degli ospiti stranieri – una delle capitali mondiali del design: però siamo a Sant’Ambrogio, si avvicina il Natale, e allora un bel coro di voci bianche con strenne varie e variegate non possiamo farcelo mancare. E nemmeno, ancora prima degli interventi dei progettisti e della doverosa sfilata degli amministratori, possiamo rinunciare alla benedizione urbi et orbi, con alto prelato armato di aspersorio. Milano guarda al futuro. Ma nel suo passato restano Peppone e don Camillo.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

Francesco Sala

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