Orrore a Madrid: il Museo Reina Sofía diventa una fondazione e c’è la fila per investirci. Fortuna che in Italia tanti tengono duro: niente privati, così i capolavori imputridiscono illibati

Il direttore, Manuel Borja-Villel, non ha avuto poi bisogno di troppi conti: i tagli governativi per il più importante museo d’arte contemporanea spagnolo nel complesso ammontano al 25,5%. Così, si chiude. Per cui, senza troppo stare a soppesare, lungi dal cadere nel vittimismo, si è messo in viaggio: appuntamenti con i più grandi collezionisti del […]

Il direttore, Manuel Borja-Villel, non ha avuto poi bisogno di troppi conti: i tagli governativi per il più importante museo d’arte contemporanea spagnolo nel complesso ammontano al 25,5%. Così, si chiude. Per cui, senza troppo stare a soppesare, lungi dal cadere nel vittimismo, si è messo in viaggio: appuntamenti con i più grandi collezionisti del mondo, primo risultato con la collezione Sonnabend di New York, che depositerà al museo sette opere di Claes Oldenburg.
Ora il passo decisivo: il 23 novembre il Museo Reina Sofía diventa la Fondazione Reina Sofía, presieduta – sembra una cacofonia – dalla Regina Sofia in persona. Al bando le obbiezioni ammuffite, parto di menti che vorrebbero – e ci riescono – ancorare lo Stato a logiche antiche: affrontare il nuovo è faticoso e rischioso, occorre (orrore) essere efficienti e competitivi. Ergo: una fondazione o un’azienda private non ti finanziano se spendi il 90% dei soldi per il personale, o se il museo fa 500 ingressi all’anno. Ti finanziano se gestisci il patrimonio in maniera moderna.
Ed è questo che frena la rivoluzione culturale italiana: istituzioni infarcite di impiegati, che lo sono nell’animo più che nella funzione e sulla – modesta – busta paga. Ma che non vogliono rischiare, vogliono solo arrivare al 27 del mese ed incassare lo stipendio: se poi al museo che sovrintendono non ci sono i soldi per la luce, le sale restano chiuse perché non ci sono custodi, le opere intristiscono per mancati restauri, pazienza. Loro combattono il povero Mario Resca, che poi batte in ritirata.
Uno dei musei più importanti al mondo, il Reina Sofia, prende il toro per le corna: noi invece continuiamo sottotraccia a combattere la Fondazione Brera. Intanto Borja-Villel porta già a casa partnership prestigiose e remunerative come quella con la Fundación Colección Patricia Phelps de Cisneros, ed a catena sono 15 gli imprenditori latinoamericani e portoghesi pronti ad investire nella nascente fondazione: i brasiliani Ricardo e Susana Steinbruch, il cileno Álvaro Saieh Bendeck, il portoghese Ricardo Espirito Santo…

– Massimo Mattioli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

Scopri di più