Quando il mito inizia da due lettere, e da un giocatore di baseball. Morto a Roma il grandissimo Cy Twombly

La scultura – Untitled (Funerary Box for a Lime Green Python) – ostenta in alto due rami di palma, inseriti a simboleggiare sia la vita che la morte. Risale al 1954, ed è opera di Cy Twombly, che in quel momento – recitano le cronache – prestava servizio come criptoanalista nell’esercito degli Stati Uniti. Ci […]

La scultura – Untitled (Funerary Box for a Lime Green Python) – ostenta in alto due rami di palma, inseriti a simboleggiare sia la vita che la morte. Risale al 1954, ed è opera di Cy Twombly, che in quel momento – recitano le cronache – prestava servizio come criptoanalista nell’esercito degli Stati Uniti. Ci capita fra le mani mentre ci tocca scrivere qualcosa che pensavamo ancora lontano, quasi un paradosso: il fatto che il grande artista è morto, oggi, in un ospedale romano, a 83 anni. E ci pare quanto mai simbolica, nella sua sintesi: perché Twombly, per chi si occupa di arte, e soprattutto in Italia dove lui ormai stava da oltre cinquant’anni, era una certezza, una sicurezza, e quindi qualcosa di fortemente vivo. Che ora muore.
Vivo, anche perché sempre presente nelle dinamiche e nelle liturgie che governano questo mondo: anche se ormai se ne stava quasi sempre rintanato nella casa studio di Gaeta, era vivissimo perché c’era nelle occasioni che contano: a lui Larry Gagosian aveva affidato l’inaugurazione della galleria romana, sul finire del 2007, e ancora a lui – asso nella pur larga manica del gallerista – era toccato benedire quella di Parigi, di sede Gagosian.
Che possiamo dire adesso? Qualche rapido dato: era nato a Lexington, Virginia, nel 1928, con il nome di Edwin Parker jr, ma con il padre – lanciatore di Baseball per i Chicago White Sox – aveva condiviso il nomignolo Cy, “rubato” alla stella sportiva Cy Young. Negli anni Cinquanta si era trasferito a New York, incontrando personaggi come Rauschenberg e Cage, Kline, Motherwell, Ben Shahn. Nel 1952, con un premio del Virginia Museum of Fine Arts, aveva viaggiato a lungo fra Nord Africa, Spagna, Italia e Francia. Nel 1959 si era trasferito in Italia, a Roma, da dove non avrebbe più tolto le radici, anche per l’incontro con la futura moglie, Tatiana Franchetti. Nel 1964 la prima presenza alla Biennale di Venezia, ed il via ad una carriera di successi che non è questo il luogo per analizzare. Lo faremo ben presto, su queste pagine, quando lo stupore avrà lasciato spazio alla riflessione ed alla storia…

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