L’abito di Marilyn vale 5 volte un Van Dyck. Bizzarrie passeggere, o qualcosa ci sfugge?

Non vogliamo certo metterci a fare i moralisti, né tantomeno quelli che non capiscono le regole – o le non-regole – della contemporaneità. Anche nei flussi e nei trend mercantili. Però accade che un episodio resta un episodio, tre di fila fanno un caso, in grado forse di sollecitare una riflessione. Tutti avranno almeno superficialmente […]

Non vogliamo certo metterci a fare i moralisti, né tantomeno quelli che non capiscono le regole – o le non-regole – della contemporaneità. Anche nei flussi e nei trend mercantili. Però accade che un episodio resta un episodio, tre di fila fanno un caso, in grado forse di sollecitare una riflessione.
Tutti avranno almeno superficialmente seguito – la tv l’ha rilanciata per ogni dove – l’asta americana che ha visto l’abito indossato da Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza salire nelle quotazioni fino ad essere aggiudicato alla follia di 4.6 milioni di dollari. Nel giro di pochi giorni si è passati al giubbotto rosso di Michael Jackson in Thriller, battuto per 1.8 milioni di dollari, e poi alla fotina di Billy The Kid, volata fino a 2.3 milioni di dollari.
Niente da dire, il collezionismo arriva a toccare le schizofrenie più profonde: però la considerazione occorre sulle cifre. Capita che fra qualche giorno Sotheby’s Londra metta in vendita un’opera di un artista raffinato – quanto raro sul mercato – come Antoon Van Dyck, e che la stima più alta sia ferma sui 900mila euro. Certo non è una novità, che capolavori di arte antica siano sottostimati rispetto ad opere moderne o contemporanee: tutto in linea con le leggi della domanda/offerta, e tutti gli argomenti buoni per macro-economisti. Però non si può non notare la sublimazione che si avrebbe, se i tre casi di cui sopra divenissero scuola. Il feticcio che sostituisce l’opera, nei desideri dei collezionisti. O l’opera-feticcio – Hirst, Cattelan – che molla per strada le ultimissime sopravvivenze auratiche…

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