Glitch. Il cinema dell’arte al PAC di Milano

L’11 ottobre, il PAC di Milano presenta una collettiva che riunisce artisti italiani delle ultime generazioni riunite nel segno dell’arte e del cinema. In anteprima, il curatore Davide Giannella esplora pensieri e retroscena di un percorso in cui l’immaginario assume due volti.

In occasione della decima Giornata del Contemporaneo, commissionata dal nuovo comitato scientifico del PAC e curata da Davide Giannella, Glitch. Interferenze tra arte e cinema in Italia presenta una selezione di opere tra film, installazioni, fotografia e performance realizzate da decine di artisti italiani negli ultimi quindici anni, tra Invernomuto, Vezzoli, Ancarani,i fratelli De Serio, Rä di Martino, Diego Perrone e gli Alterazioni Video. A quattro settimane dall’apertura, il curatore rievoca attitudini e caratteristiche del progetto, regalando in anteprima alcuni scorci, tra arte e cinema.

Da dove e quando nasce la tua idea di un percorso come Glitch,incentrato sulle possibili interferenze tra arte e cinema?
Questa mostra nasce inevitabilmente da una serie di esperienze professionali e personali. Prima come curatore di verniXage – rassegna di Art Cinema presentata negli ultimi quattro anni all’interno del Milano Film Festival – che mi ha dato modo di approfondire le possibili relazioni tra sistemi critici, produttivi e distributivi differenti, così come mi ha messo in contatto diretto con gli  autori che si muovono in questo ambito liminale, figure il cui apporto è stato fondamentale in tutto il mio percorso. Parallelamente ho poi iniziato a seguire gli artisti sui set dei loro film, arrivando a ricoprire contemporaneamente il ruolo di curatore e quello di produttore esecutivo e quindi a riflettere sulla potenziale sovrapposizione di queste due figure. Entrambe esperienze che mi hanno permesso di vedere da vicino una realtà in continua evoluzione, di volta in volta stravolta e rinnovata da autori differenti.
In generale mi appassiona comunque ogni possibilità di commistione tra contenuti o sistemi di significato differenti tra loro. Penso che l’incontro tra ambiti culturali eterogenei possa generare sempre formule espressive interessanti e vitali, così come credo sia una pratica necessaria per muoversi consapevolmente nel contemporaneo.

Rä di Martino – The Red Shoes, 2007. Still da video

Rä di Martino – The Red Shoes, 2007. Still da video

Quale l’intento narrativo, la dichiarazione di poetica anticipata dal titolo che hai scelto?
Il glitch è un’improvvisa interferenza audiovisuale, una frattura spontanea all’interno di un circuito elettrico. Indipendentemente dalla sua valenza tecnologica, mi ha interessato il potenziale virtuoso che un’interferenza può costituire, il fatto che possa mettere in crisi sistemi solidi e visioni ormai assodate in favore di uno sguardo inedito. Nel caso della mostra, l’interferenza è tra generi attigui ma per molti ancora distinti, un lampo che accende similitudini e distinzioni, convergenze e divergenze tra le parti, generando una costellazione di segni in costante divenire.

Gli artisti italiani selezionati, di quale svolta mediatica si fanno portatori? Quale ipotesi di ricerca, o di partenza, sottostà al progetto espositivo?
Glitch non vuole decretare una svolta. Non credo nemmeno si possa parlare di svolte epocali per il contemporaneo. Possiamo indagare, con spirito d’avventura, territori i cui perimetri non sono stati ancora del tutto definiti, cercare di essere promotori e propulsori di scene inedite come connettori tra parti ancora disgiunte di un potenziale sistema, ma quello che la mostra prende in considerazione è un ambito necessariamente sfumato e in perenne rinnovamento, una realtà che della sua mutevolezza fa identità e che in caso di canonizzazione perderebbe ogni tipo di libertà espressiva. Glitch, e per certi versi ogni mostra, non può, né deve, sperare di decretare delle verità oggettive. Mi sembrerebbe un approccio sbagliato e fondato su un sensazionalismo funzionale alla comunicazione più che all’indagine intrapresa.
Glitch è piuttosto l’articolazione e la condivisione – con gli artisti e con il pubblico – di un punto di vista, sempre e comunque soggettivo e parziale. A maggior ragione, poi, se si considera che si tratta di una collettiva, che comprende in sé tante figure o anime artistiche differenti, con il loro portato intellettuale e umano, tecnico ed estetico, soggetti che a loro volta animano il dialogo generato dalla mostra attraverso i loro lavori. Il mio investimento sta nel cercare di attivare delle relazioni, di costruire dei ponti di continuità tra soggetti che riflettono su tematiche simili o che approcciano linguaggi comuni. In questo caso l’arte contemporanea e il cinema, piattaforme di una narrazione multiforme e ipersfaccettata. La mostra racconta questo, un paesaggio di formule espressive differenti che cresce e si sviluppa in un territorio aperto e condiviso.

Alterazioni Video – Ambaradan, 2014. Still da video

Alterazioni Video – Ambaradan, 2014. Still da video

Allestitivamente, come sarà suddivisa la mostra al PAC?
La mostra si sviluppa attraverso differenti aree fisiche e concettuali: filmica, installativa e performativa. I film sono presentati all’interno di sale cinematografiche, minicinema allestiti negli spazi del PAC, all’interno dei quali sono poi riprodotti i film, associati tra loro per tema o per semplice giustapposizione, in blocchi da circa due ore. Quello installativo prende invece in considerazione opere che, all’interno di progetti più ampi, costituiscono i presupposti o le declinazioni dei film. Sono una primaria testimonianza di come questi lavori siano spesso luoghi di arrivo o di partenza che si articolano e sviluppano in maniera differente a seconda dei canali di diffusione, dei contesti e del pubblico. I temi affrontati sono sempre i medesimi, solo cambiano i mezzi con cui questi vengono raccontati. Sono poi presenti quelle opere che attingono dall’immaginario cinematografico o ne fanno tema di indagine e discussione.
Le performance vengono invece considerate come dispositivi live di immagini in movimento. L’associazione col cinema (considerando quello proiettato in sala) è di carattere fruitivo: in entrambi i casi non c’è tempo per la contemplazione, necessita di partecipazione e l’esperienza rilascia allo spettatore una visione complessiva che richiede un editing a posteriori, una lettura personale della messa in scena.

Che cosa non si vedrà? Quale componente del cinema, nell’arte, non sarà visibile?
Nel caso delle installazioni, non verranno mostrate opere audio-video. Non ci saranno né schermi né sorgenti sonore disseminati all’interno dello spazio espositivo. Da una parte, anche questa è una scelta funzionale alla fruizione: i film verranno proiettati esclusivamente nelle sale cinema per rispettarne la qualità formale e allo stesso tempo per invitare il pubblico a una visione più partecipata e attiva, più consapevole e meno caotica dei lavori. Dall’altra parte, invece, penso sia importante considerare  le opere esposte come entità formalmente autonome dai film, elementi capaci di generare ulteriori narrazioni, snodi in grado di creare corrispondenze tra le differenti parti del padiglione attraverso l’utilizzo di linguaggi alternativi rispetto a quello delle immagini in movimento.

Rä di Martino – NOT360, 2002. Still da video

Rä di Martino – NOT360, 2002. Still da video

Come, a tuo parere, il cinema in qualità di scenario sensibile s’inserisce all’interno del registro scopico dell’arte italiana? Quali i possibili macro-temi evidenziabili?
In realtà credo che non vi siano degli inserimenti netti di un genere all’interno di un altro. Credo piuttosto ci siano delle fusioni, delle compenetrazioni linguistiche tra le parti. Un flusso di contenuti circolare piuttosto che verticale. Rispetto ai macrotemi, nonostante le possibili similitudini riscontrabili nei lavori dei vari artisti coinvolti, l’attenzione è ricaduta sull’idea di narrazione come valore condiviso, come espressione – più o meno consapevole, più o meno esplicita – di un’attitudine inclusiva e sempre meno esclusiva dei lavori e dei rispettivi autori. Narrazione intesa anche come elemento fondante del cinema ma soprattutto come trampolino per la formulazione di nuovi immaginari e quindi come terreno di condivisione e confronto.

Quando, in quale momento il cinema, raccontato dal linguaggio artistico, diventa più incisivo?
Credo che un’opera sia solida quando, veicolando istanze e temi presenti anche in una produzione cinematografica, rimane comunque autonoma, paritetica al suo sodale filmico. Altrettanto quando non assume la funzione di surrogato o di mero feticcio di un lavoro più complesso.

Lungo la durata del percorso, quali eventi di approfondimento sono stati programmati?
Con l’istituzione si sta lavorando alla chiusura di un palinsesto che alterni performance (nella prima sala del padiglione) a serate monografiche, dedicate a specifici autori o temi all’interno delle sale cinema. Credo possa essere una maniera positiva di utilizzare la chiusura posticipata del PAC (ogni giovedì aperto sino alla 22.30) ma soprattutto una possibile chiave per riattivare il ruolo del museo o dello spazio espositivo, che andando oltre alla loro funzione di contenitori/espositori di opere finite, possono assumere il ruolo di  generare contenuti durante tutta la durata della mostra.

Potresti formulare un augurio, esprimere un pensiero che accompagni chiunque abbia intenzione di visitare Glitch?
Curiosità. Disposizione al molteplice, al racconto e alla fascinazione.

Ginevra Bria

Milano // fino al 6 gennaio 2015
Glitch. Interferenze tra arte e cinema in Italia
a cura di Davide Giannella
PAC
Via Palestro 14
02 88446359
www.pacmilano.it

 

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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