Essere o non essere? Questo è Giulio Paolini

Whitechapel Gallery, Londra - fino al 14 settembre 2014. Continua l’ampia retrospettiva dedicata a Giulio Paolini in Gran Bretagna. Ventuno opere, per una versione extended della retrospettiva “Essere o non essere” presentata al Macro di Roma nel 2013/2014.

L’importante retrospettiva londinese To be or not to be, dedicata a Giulio Paolini (Genova, 1940) e curata da Bartolomeo Pietromarchi e Danierl F. Herrmann, presenta ventun lavori che ripercorrono i momenti emblematici della ricerca dell’artista concettuale, dagli esordi negli Anni Sessanta fino ad arrivare alle più recenti installazioni, con l’opera inedita del 2013, L’autore che credeva di esistere.
Molti sono i linguaggi e i mezzi artistici utilizzati, dall’installazione alla fotografia, dalla proiezione d’immagini all’autoritratto, dal cambiamento di scala di rappresentazione fino al collage.
Entrando nella prima galleria, ci si confronta con Delfo (1965), autoritratto in bianco e nero, a grandezza naturale, rappresentante l’autore davanti a un quadro privo di tela, a significare il primato dell’idea sottesa all’opera, di cui l’artista è semplice testimone e comunicatore. Paolini, in tal modo, riporta in auge l’autorevolezza e l’autenticità dell’opera in sé, nel suo perdurare e instaurarsi, grazie agli strumenti di sintesi e confronto critici con il tempo e la storia.
Riferendosi all’Amleto shakespeariano, la mostra esplora il rapporto esistente tra l’autore e l’opera, in cui tematiche fondamentali sono l’illusione e il mito dell’opera d’arte –  dall’evocazione all’apparizione, dalla presenza silente e assoluta alla sparizione – e l’eclissamento dell’artista, in quanto fautore e interprete della rivelazione di un’opera che, necessariamente, doveva essere disvelata. I quadri e le opere, nella loro assolutezza, smettono di trasmettere un’immagine e, sopravvivendo al tempo, diventano presenze silenziose, rifuggono in qualche sorta allo scandalo della comunicazione.

Giulio Paolini - Big Bang, 1997-98 - veduta della mostra presso la Whitechapel Gallery, Londra 2014 - © David Parry/TNR

Giulio Paolini – Big Bang, 1997-98 – veduta della mostra presso la Whitechapel Gallery, Londra 2014 – © David Parry/TNR

Il lavoro che maggiormente perfeziona e sublima quest’astrazione è Big Bang (1997-1998), il quale, mostrando al centro della scena l’atelier di un artista – rimando concettuale alla presenza-assenza dello stesso – e alcuni fogli accartocciati gettati per terra casualmente insieme a una tela, vuota o semplicemente abbozzata, restituisce poeticamente i seguenti poli e dicotomie: oggettività-soggettività, opera-artista, autore-spettatore, oltre che spazio e caos inteso come creazione.
In un continuum tra passato e futuro, le citazioni dotte, le duplicazioni di opere preesistenti, persino le frammentazioni, risultano essere strumenti di cui Paolini si serve per inscenare, come a teatro, un’opera d’arte unica, irripetibile, forte di un’essenza astorica e atemporale. In questo processo, la concezione di un’opera è molto più importante del risultato, come ad esempio in Diaframma 8 (1967), in cui si instaura, tra la tela bianca trasportata dall’artista e l’opera in divenire, un perpetrarsi di analogie in cui il quadro e l’immagine non sono altro che strutture di un possibile e, dunque, potenzialità.
In Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967), riproducendo l’opera dell’artista rinascimentale, l’autore vorrebbe indurre lo spettatore a un riflesso mentale e concettuale in cui risulta evidente la risonanza tra lo sguardo di Lotto, di Paolini stesso, del giovane e infine dello spettatore. Questa sequenza di analogie tra lo spazio mentale, il campo visivo e il linguaggio sono, nella poetica dell’artista, delicati sussurri alla memoria.

Giulio Paolini - Alfa (Un autore senza nome), dettaglio 2004. Collezione dell’artista / Courtesy Marian Goodman Gallery, New York © Giulio Paolini

Giulio Paolini – Alfa (Un autore senza nome), dettaglio 2004. Collezione dell’artista / Courtesy Marian Goodman Gallery, New York © Giulio Paolini

L’opera conclusiva, L’autore che credeva di esistere (sipario: buio in sala), è la proiezione e sovrapposizione di immagini rappresentanti disegni geometrici e schizzi, su una parete di tele bianche e cornici vuote, qui artista e spettatore hanno un ruolo e destino comuni, ossia assistere a una rappresentazione, come a teatro, nella quale il qui e ora, il vuoto, l’intervallo o l’attesa marcano una distanza attraverso la quale è possibile vedere in profondità, dando forma all’assenza, a ciò che non appare.

Claudia Brivio

Londra // fino al 14 settembre 2014
Giulio Paolini – To Be or Not to Be
a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Daniel F. Herrmann
WHITECHAPEL GALLERY
77-82 Whitechapel High Street
+44 (0)20 75227888
[email protected]
www.whitechapelgallery.org

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Claudia Brivio

Claudia Brivio

Claudia Brivio si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano nel 2004. Da anni lavora come progettista e designer viaggiando tra Milano, Londra e Parigi. Da sempre appassionata di arte contemporanea e fotografia, intenta nuovi punti d’incontro tra la…

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