Tutto Piero Manzoni a Milano. Anche troppo

Palazzo Reale, Milano – fino al 2 giugno 2014. Quasi tutta l’opera del grande artista nelle sale di Palazzo Reale. I rischi di una mostra che guida troppo poco lo spettatore attraverso la comprensione di un percorso artistico folgorante. Una di quelle meteore che, una o due volte al secolo, attraversano i cieli dell’arte. Troppo velocemente, forse.

Lungo un percorso piuttosto breve, perché breve fu la vita di Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963), si affollano moltissime opere del grande artista milanese, perché milanese fu la cultura di Manzoni, giocata tra Bar Giamaica, Brera e l’Università Statale, tra l’avanguardia letteraria, l’arte e la filosofia.
Troppe opere per un percorso che rischia di perdersi tra mille esperimenti che sprizzavano fuori dalla fucina geniale e inesausta della mente di Piero, che però arrivava con lucidità al fondo dei problemi solo ogni tanto, come sempre succede, anche per i più grandi artisti. Così lo spettatore non preparato rischia di fraintendere il peso specifico di un’opera come il Socle du Monde o delle Uova (se così le si può chiamare) tra le prove d’artista delle Tavole di Accertamento o le piccole impronte su carta. Esiste un filo rosso che unisce tra loro le opere fondamentali di Manzoni, rispetto a cui tutto il resto della produzione orbita attorno: prove, tentativi, passaggi fondamentali per qualcosa di infinitamente più grande. Ebbene, il grande difetto della mostra milanese consiste nel confondere questi due livelli.

Piero Manzoni, Corpo d'aria n. 06, 1959-60

Piero Manzoni, Corpo d’aria n. 06, 1959-60

La complessità del pensiero di Manzoni avrebbe dovuto indurre a selezionare solo le opere cardine, o almeno a sviluppare il percorso secondo questi cardini. Il rapporto strettissimo tra arte e scritti, anche per la vicinanza con gli ambienti del Gruppo 63, o anche la grandezza visionaria dei video girati da Manzoni, anticipatori di un ritorno allo spettatore quasi postmoderno, avrebbero dovuto essere enfatizzati, e accompagnare lo spettatore in un complesso percorso concettuale che spacca in due l’arte del Novecento. O meglio, se compreso, avrebbe dovuto spaccarla in due.
La riflessione sullo statuto ontologico dell’opera d’arte, necessariamente mutato nel XX secolo, lo straziante stridore della contraddizione tra arte e mercato, il rinnovato rapporto fiduciario alla base dell’opera d’arte e la sua convenzionalità, l’anticipazione della performance e del postmoderno, il rapporto con la tradizione e l’aspetto organico-biologico delle opere, sono tutti aspetti troppo poco approfonditi in una mostra che ancora stenta a cogliere il senso profondo di un’opera che, nell’arrivare al limite estremo consentito, non avrebbe mai dovuto creare un’ossimorica – quanto attuale – accademia dell’avanguardia, ma semmai una palingenesi artistica.

Piero Manzoni, Milano et mitologia, 1956

Piero Manzoni, Milano et mitologia, 1956

Insomma, una mostra ricca, e bella, per chi Manzoni già lo conosce e lo apprezza, ma che rischia di trasformarsi in una camera degli orrori per gli eterni detrattori dell’“anch’io potrei cagare in un barattolo”.

Giulio Dalvit

Milano // fino al 2 giugno 2014
Piero Manzoni 1933-1963
a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo
PALAZZO REALE
Piazza Duomo 12
02 92800375
www.mostramanzonimilano.it

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Giulio Dalvit

Giulio Dalvit

Nato nel 1991 a Milano, ha studiato Lettere e si è laureato in Storia dell’arte moderna alla Statale di Milano. Ha collaborato anche con alcuni artisti alla realizzazione di mostre milanesi tra Palazzo Reale, il Museo del 900 e Palazzo…

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