I racconti dell’acqua

Perdersi nell’acqua per cercare le risposte al nostro esistere. Ci provano diciassette artisti, ma senza fermarsi alla pura rappresentazione. Impiegano l’elemento liquido come veicolo per creare immagini metaforiche, sempre al limite tra vita e morte, creazione e nulla. A Venezia, presso l’Ateneo Veneto e le Procuratie Vecchie, fino al 29 settembre.

Proporre una mostra sull’acqua è sempre un rischio, perché le immagini dell’acqua si dissolvono. Sono poesia dell’impermanenza. Segni della mutabilità. L’acqua assomiglia all’anima dell’essere vivente: è inquieta e senza posa, è amica e nemica, non ha principio e non ha fine. Nell’acqua capisco è il titolo della rassegna ed è ripreso dal libro di David Grossman Con il corpo capisco. Là era l’alfabeto ossessivo dei gesti a permettere di cogliere l’essere dell’altro, qui è la liquidità e la mutabilità dell’elemento naturale che ci consente di penetrare nel fluire stesso della vita. E poco importa se gli artisti presenti non producono opere fatte con la “matericità” dell’acqua, ma solo opere che vi alludono per parlare d’altro e mettere in moto altri saperi (mitici, scientifici, ecologici ecc.). Quello che conta è la meravigliosa instabilità dell’acqua che dà vita al sogno di un sistema di immagini plurimo (evocando l’utopia della “conoscenza totalizzante” auspicata dal Palazzo Enciclopedico di Gioni).

Donatella Spaziani, 25 aprile 2013, 2013, matita su ceramica, dimensioni ambiente, Courtesy Studio Oredaria

Donatella Spaziani, 25 aprile 2013, 2013, matita su ceramica, dimensioni ambiente, Courtesy Studio Oredaria

Si va dai tempietti in ferro di Gregorio Botta che ospitano riprese video di una grotta marina alle Perle Rare di Bruna Esposito, in cui l’artista fotografa le persone care nel riflesso di una perla bianca e una nera, dall’installazione di Paolo Canevari, costituita da un “mare-tappeto-tetto rovesciato” di camere d’aria che occupano e rendono impercorribile lo spazio a Simone Cametti che in due gigantografie sonda l’attività di un lago ghiacciato. Qui, l’immagine è integrata da un sistema audio di cuffie che permette di ascoltare i rumori di fondo, facendo affiorare nella visione ciò che è invisibile.
Cosa che accade anche nel filmato di Francesco Vaccaro dove pesanti cavi trainano a secco delle ancore o sullo schermo di Davide D’Elia che, nell’ombra di alcune cartoline, trattiene la memoria di un’estate perduta. L’acqua può diventare anche il confine tra la vita e la morte, qualcosa che ferisce il corpo e lo spirito, come il getto violento che tortura Regina José Galindo o il ricorso a una grafia minuziosa per tradurre nelle pieghe di un abito la morte di Ofelia (Barbara Salvucci). L’acqua si trasforma in un modo per indagare il senso del mondo, per entrare nel corso del tempo e “capirci”, liberi dal peso della soggettività.

Luigi Meneghelli

Venezia // fino al 29 settembre 2013
Nell’acqua capisco
a cura di Claudio Libero Pisano
Catalogo Orlando Edizioni
ATENEO VENETO
Campo San Fantin 1897)
PROCURATIE VECCHIE
Piazza San Marco
041 5224459
[email protected]
www.ciacmuseum.com
www.the-art-fondation.org

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Luigi Meneghelli

Luigi Meneghelli

Laureato in lettere contemporanee, come critico d'arte ha collaborato e/o collabora a quotidiani (Paese Sera, L'Arena, L'Alto Adige, ecc.) e a riviste di settore (Flash Art, Le Arti News, Work Art in progress, Exibart, ecc.). Ha diretto e/o dirige testate…

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