La prima volta di Jeff Wall

Fino al 9 giugno, il PAC di Milano dedica i suoi ambienti alla prima retrospettiva italiana del più importante fotografo vivente. Una antologica che comprende alcuni dei più noti lightbox a grandezza parete, estratti da serie concettuali e stampe tradizionali in bianco e nero. Dopo l’intervista, il report di Artribune.

Prima di diventare un venerato maestro, Jeff Wall (Vancouver, 1946) è stato un precursore. Capofila della scuola di Vancouver, aprì la strada ai più celebrati e quotati fotografi contemporanei come Andreas Gursky, Thomas Struth e Thomas Ruff: in ambito tecnico, attraverso la scelta di grandi formati di stampa e la rottura del tabù della manipolazione digitale posteriore allo scatto; in ambito ontologico, per via della stratificazione dell’immagine.
Le fotografie di Jeff Wall, anche le apparenti tranche de vie, rimandano sempre a qualcos’altro: un’opera d’arte (specialmente dell’Ottocento francese, da Seurat a Manet, da Caillebotte a Courbet, oppure la sublime serie di calchi di stampe di Hokusai) rivisitata in chiave moderna, una scena letteraria come l’illustrazione del viaggio in carrozza da Haro No Yuki di Mishima presente in mostra, un discorso costruttivista sulle forme. Altre volte, semplicemente, a una diegesi: un cliffhanger, l’uomo che mima uno sparo in una strada affollata, oppure l’irruzione dell’imprevisto in un ambiente composto, come l’addetto alle pulizie nel padiglione di Mies van der Rohe. La novità di Jeff Wall consiste nell’aver reso la fotografia un’arte dialogica con il cinema, la pittura, l’arte concettuale (si veda A sapling supported by a Post) senza rinunciare all’autonomia espressiva del mezzo.

Jeff Wall, Insomnia, 1994 - Courtesy dell’artista

Jeff Wall, Insomnia, 1994 – Courtesy dell’artista

Se per Henri Cartier-Bresson una fotografia è la risultante di un kairos, dell’allineamento fortuito di fotografo, apparecchio e scena data nella realtà (e lo scatto un gesto simile allo scoccare della freccia da parte del cacciatore), all’opposto la fotografia secondo Wall è il risultato di una costruzione, di un pensiero che la precede, di una messa in scena (spesso in un set) e di una manipolazione successiva.
L’operazione concettuale del fotografo canadese consiste nel riposizionare la fotografia in un continuum di tutte le arti, rifiutando l’estetica postmoderna del frammento e dell’immediatezza a favore della bellezza classica, ma fuggendo il gusto arido della citazione passatista fine a se stessa. Per esemplificare, Mimic ripete lo schema formale e lo spunto narrativo de Le pont de l’Europe di Gustave Caillebotte senza ricreare in vitro una Parigi fine Ottocento da diorama piena di borghesi in cilindro. Piuttosto ricaricando la forza dell’immagine con l’attualità bruciante delle tensioni razziali nelle periferie americane.

Alessandro Ronchi

Milano // fino al 9 giugno 2013
Jeff Wall – Actuality
a cura di Francesco Bonami
Catalogo Electa
PAC 
Via Palestro 14
www.jeffwallmilano.it

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Alessandro Ronchi

Alessandro Ronchi

Alessandro Ronchi (Monza, 1982) è critico d’arte e giornalista culturale. Si interessa specialmente di arte dalle origini alla contemporaneità, iconografia, cinema, letteratura, musica e pop culture. Ha diretto il mensile Leitmotiv e collabora con testate giornalistiche, website e gallerie. Tiene…

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