Sesso e design. In Triennale

5 dicembre 2012. Nelle sale del Triennale Design Museum, all'interno dei saloni dello spazio di viale Alemagna, apre al pubblico “Kama. Sesso e Design” a cura di Silvana Annicchiarico. Artribune in anteprima ha approfondito con la direttrice temi e aspetti che il percorso toccherà. Mentre stasera pubblicheremo il photoreportage da una vernice che si annuncia… hot.

Negli spazi che Triennale Design Museum dedicherà a Kama. Sesso e Design si potranno osservare oltre 200 fra reperti archeologici, disegni, fotografie, oggetti d’uso e opere di artisti e designer internazionali. Quale il significato del non porre un limite di tempo all’analisi che l’itinerario propone? E dunque come sarà modificata la definizione o l’accezione di design?
Non è del tutto esatto affermare che Kama. Sesso e Design non si pone limiti temporali. L’orizzonte indagato è quello della modernità: è il design come espressione specifica della cultura progettuale nella società industriale e poi in quella post-industriale. Abbiamo cercato le tracce del sesso negli oggetti progettati e realizzati dai tempi di Duchamp e delle avanguardie novecentesche fino ai giorni nostri. Certo: abbiamo anche cercato di individuare degli archetipi. E li abbiamo trovati nella cultura materiale della Grecia e di Roma classiche, dove la presenza della sessualità negli oggetti della vita quotidiana era diffusa e – per così dire – quasi scontata.

Quanto le dimensioni di tempo, storia, tradizioni e abitudini hanno cambiato la vicinanza e la mimesi delle forme del sesso negli oggetti? Sarà possibile, in mostra, distinguere feticci conclamati da semplici ipostasi della sinuosità?
La distinzione – se c’è – è nello sguardo di chi osserva, non in una presunta ontologia dell’oggetto osservato. Intendo dire che, qui come in altre pratiche espressive, è proprio del fruitore elaborare mosse interpretative che vadano in una direzione piuttosto che nell’altra. Certo: in alcuni casi il “feticcio” è quasi “urlato” fin dal titolo che il designer ha voluto attribuire al suo progetto (Sessodidio di Gaetano Pesce, Fottunello di Marco Ferreri), in altri l’attribuzione alla sfera sessuale pertiene alla responsabilità curatoriale. Ma attenzione: non sempre la morfologia erotica rinvia alla categoria della sinuosità, in alcuni casi anzi il sesso deposita negli oggetti linee nette e ritte, forti e aguzze, tutt’altro che morbide o sinuose.

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Andrea Mancuso, Plat à fromage, 2009

Quando si parla di design e di sesso, quanto le due dimensioni si limitano o influenzano a vicenda nella vita quotidiana? Potrebbe descriverne alcuni esempi attraverso gli oggetti che verranno allestiti lungo il percorso?
Gli oggetti selezionati e visibili nel percorso espositivo sono oggetti epifanici. La loro funzione è prima di tutto comunicativa: annunciano qualcosa. Scrivono una segnaletica del corpo dove non ci si aspetterebbe di trovarla. Sono di volta in volta fossili, reperti, indizi. Ci dicono che il sesso è sempre lì, o qui. Che ci sta accanto. Che ci viviamo dentro, che ci sediamo sopra, che lo teniamo tra le mani. O, forse, ci dicono che il sesso non è più né qui né lì, che se ne è andato altrove. Che ne parliamo tanto perché non sappiamo più dove sia. Tanto che ci illudiamo di poter elaborare il lutto, e di sopportarne la perdita, con gli oggetti che presentificano la sua assenza.

Kama. Sesso e Design promette di dare forma al feticismo e narrare la sostanziazione del desiderio attraverso gli oggetti. Quali sono a suo parere i meccanismi, le strategie che posseggono le cose per accendere o modificare la fantasia umana?
Non credo che la chiave per leggere gli oggetti sessomorfi del design sia quella del feticismo. Penso piuttosto che sia vero l’opposto: questi oggetti non feticizzano, piuttosto quotidianizzano. Hanno cioè – secondo me – la medesima funzione propiziatoria o apotropaica che avevano i tintinnabula o i falli scolpiti sulle erme nell’antica Roma. Non sono eccitanti né stimolanti. Non sono un viagra in forma oggettuale. Più che alla dimensione del desiderio rinviano alla dimensione del rito e/o del sacro. Ed è questo, paradossalmente, che ai miei occhi li rende interessanti.

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Piero Fornasetti, Tronco femminile, anni sessanta, courtesy Archivio Fornasetti

La mostra si articolerà in otto sezioni: Archetipi, Priapi, Origine du monde, Glutei, Seni, Orifizi, Accoppiamenti, Erotic Food Design. Potrebbe citare come esempio alcuni oggetti che ne faranno parte e perché?
Tra gli archetipi ci sono erme, lucerne, amuleti, portafortuna, tintinnabula: l’archeologia ci consegna i reperti oggettuali di epoche in cui il sesso era nelle cose, e parlava per il loro tramite, e animava (e in taluni casi addirittura “arredava”) la vita quotidiana. I Priapi sono invece oggetti ispirati alla forma dell’organo genitale maschile in posizione eretta, e trasferiscono nelle cose un’idea di energia generatrice e perfino di “accensione” (gli accendigas Firebird di Guido Venturini per Alessi) oppure di ritualità totemica (il vaso Shiva di Ettore Sottsass). Per i glutei, il modello è invece la Venere Callipigia, la statua dalle belle natiche che ha generato infinite morfologie oggettuali, da utensili da cucina della tarda romanità sino a certe sedie di designer contemporanei (Him & Her di Fabio Novembre), senza dimenticare portavasi (Tronco femminile di Piero Fornasetti) e brocche (Brocca culona di Ugo La Pietra) e giocattoli (Pony Girl Rocker di Peter Jakubik).

A suo modo di vedere, quale sarà l’oggetto in mostra che rispecchierà maggiormente vita, ossessioni e inclinazioni del proprio autore (Mollino, Dalî, Fornasetti oppure McCartney)? E quale il punto di vista più audace fra le interpretazioni degli otto progettisti internazionali (Andrea Branzi, Nacho Carbonell, Nigel Coates, Matali Crasset, Lapo Lani, Nendo, Italo Rota e Betony Vernon) chiamati a confrontarsi con il tema?
Di Piero Fornasetti esporremo oggetti e disegni per molti versi sorprendenti e inattesi, ma tali da offrire un’angolazione nuova ed estremamente interessante attraverso cui leggere tutta la sua opera. Una cosa analoga si può dire anche per certi lavori di Sottsass. Ma la chiave attraverso cui rapportarsi a Kama non è una chiave autoriale. Vorrei che questa volta l’attenzione si concentrasse sugli oggetti più che su chi li ha progettati e realizzati. Il punto di vista più audace? Non saprei: qual è il parametro per giudicare l’audacia? E comunque, l’obiettivo di Kama non era e non è quello di épater le bourgeois. Kama non vuol essere una mostra “scandalosa”. C’è un unico scandalo che mi piacerebbe che Kama scatenasse: quello di indurci a pensare che il sesso – una volta tanto – non è affatto materia di scandalo.

Ginevra Bria

Milano // fino al 10 marzo 2013
Kama. Sesso e Design
a cura di Silvana Annicchiarico
Catalogo Corraini
TRIENNALE DESIGN MUSEUM
Viale Alemagna 6
02 724341
www.triennale.it

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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