L’intramontabile mito dell’Orient Express

Istanbul è stata a lungo il capolinea dell’Occidente, o l’avamposto dell’Oriente, secondo i punti di vista. La città che meglio ha incarnato quell’idea che, tra cliché e realtà, corrisponde e si riferisce a un mondo di relativa prossimità e meraviglioso esotismo. È questo il punto di partenza per la mostra “Arab Express” al Mori Art Museum di Tokyo. Per vederla c’è tempo fino a ottobre. Ma di Istanbul non si parla.

Per Arab Express, Nanjo Fumio – direttore del Mori Art Museum di Tokyo e curatore, con Kondo Kenichi, della mostra – ha avviato una ricerca sul terreno durata quasi due anni, durante i quali ha percorso le vie del Medio Oriente alla ricerca delle ultime tendenze in fatto d’arte contemporanea.
Innanzitutto una puntualizzazione in merito alla prospettiva, per una volta non eurocentrica bensì estremorientale. Nanjo è cristallino in merito alla definizione dei limiti culturali proposti nell’ambito dell’esposizione: “‘Arab Express’ fa il punto sui Paesi culturalmente arabi del Medio Oriente. Si tratta della regione rappresentata dall’Egitto, dal Levante e dai Paesi del Golfo. Le nazioni del Maghreb non sono state incluse, visto che parecchi artisti provenienti da questa regione avevano partecipato alla mostra ‘Africa Remix’, organizzata dal Mori Art Museum nel 2006. Abbiamo ugualmente escluso la Turchia, l’Iran e Israele per ragioni legate al loro diverso background etnico e religioso”.
La delimitazione territoriale è certo un primo, essenziale criterio selettivo. Il secondo sembrerebbe consistere nella necessità di proporre al pubblico giapponese, per lo più estraneo alla cultura – specie quella artistica contemporanea – del mondo arabo, un percorso iniziatico che consenta un approccio visivo e sequenziale in grado di fornire elementi di decodificazione, senza tuttavia risultare strumentale a quest’unico obiettivo. Una società, quella giapponese, fuorviata da approssimazioni riguardo al mondo arabo, come ci ricorda scherzosamente Kenichi Kondo: “Quando ho accennato al fatto che avrei curato una mostra su artisti contemporanei arabi, una curatrice giapponese si è immediatamente premurata di chiedermi se ci fossero anche ‘artiste’ nella regione araba e un amico pittore ha erroneamente dedotto che nella maggior parte dei casi le opere dovessero essere astratte per il ben noto divieto imposto dall’Islam contro l’idolatria”.

Sharif Waked To be continued 2009 The Artist and Mori Art Museum photo Mohammed Kazem L’intramontabile mito dell’Orient Express

Sharif Waked, To be continued, 2009 – The Artist and Mori Art Museum (photo Mohammed Kazem)

Certo il Giappone è meno esposto al Medio Oriente di quanto non lo siano l’Europa o gli Stati Uniti, dove numerose mostre, specie nella fase di elaborazione post-11 settembre, sono state dedicate ad artisti arabi contemporanei o a fenomeni e tematiche sottese all’arte contemporanea mediorientale e dove, peraltro, molti degli artisti più spesso presenti sulla scena internazionale si sono stabiliti come effetto di diaspore collettive e private.
Arab Express ha l’innegabile virtù di aver privilegiato, pur con alcune eccezioni, artisti nati in Medio Oriente e nella regione del Golfo (che, ad essere precisi, costituiscono due realtà significativamente distinte), dove tuttora vivono e lavorano. E non è una scelta facile, vista la tendenza migratoria attestata dalle didascalie di mostre e cataloghi dove compaiano artisti mediorientali.
Tre le sezioni in cui si articola il percorso espositivo, il primo dei quali dedicato alla vita quotidiana e al contesto ambientale del mondo arabo. Segnaliamo il lavoro video di Amal Kenawy, Silence of the Lambs (2009), dove l’artista diventa la “pastorella” che guida per le strade del Cairo un gruppo di uomini costretti a camminare a quattro zampe, in una trasparente provocazione politica diretta contro l’ordine sessista vigente nella cultura araba. L’intenso lavoro di Rula Halawani, Intimacy (2004), consiste in una serie di scatti fotografici in bianco e nero “rubati” alla frontiera israelo-palestinese e che mostrano i controlli a cui i cittadini palestinesi sono quotidianamente costretti a sottoporsi. Ancora in questo gruppo, Black Fountain (2008/2012), il sintetico, monumentale lavoro di Maha Mustafa, una fontana di liquido nero che rappresenta l’elaborazione artistica della pioggia nera – risultato della contaminazione atmosferica scatenata dalla guerra del Golfo e tristemente sperimentata in Iraq nel 1991.

Hrair Sarkissian Execution Squares 2008 The Artist and Mori Art Museum photo Mohammed Kazem L’intramontabile mito dell’Orient Express

Hrair Sarkissian, Execution Squares, 2008 – The Artist and Mori Art Museum (photo Mohammed Kazem)

Al rapido e sconsiderato sviluppo edilizio di Dubai è dedicato Window 2003-2005 di Mohammed Kazem, dove la finestra da cui l’artista assiste alla crescita della città, documentandone il cambiamento, diventa metafora della relazione tra sfera privata e sfera pubblica, due prospettive che necessariamente si intersecano pur non scontrandosi apertamente (le leggi in materia di diritto a manifestare sono in questa regione tassative e dittatoriali).
Il secondo tema in cui si articola la mostra presenta lavori che intendono rovesciare gli stereotipi circolanti sul mondo arabo. Nel lavoro video The Other behind the Wall (2009) di FaisalSamra, un gioco di specchi trasforma l’osservatore nell’Altro, mentre Sharif Waked gioca con lo stereotipo dell’arabo come terrorista nel suo To be continued, anch’esso del 2009. Due lavori forse non riuscitissimi, chiaramente concepiti per il pubblico occidentale e caratterizzati dalla necessità di sfruttare un certo punto di vista, ma che tendono a indebolirsi – divenendo meno immediati e necessitando di un filtro culturale nel momento in cui il pubblico cambi.
Più ironico, il lavoro video di Maha Maamoun Domestic Tourism II (2008) utilizza scene tratte da film egiziani (un’industria fiorentissima e vero elemento di unificazione culturale nel mondo arabo) e montate à rebours, partendo da quelle del 2000 per risalire indietro nel tempo fino a quelle degli Anni Cinquanta e poi tornare al presente, indagando il modo in cui si è creata l’immagine dell’Egitto nella cultura popolare.

Adel Abidin I am sorry 2008 The Artist and Mori Art Museum photo Mohammed Kazem L’intramontabile mito dell’Orient Express

Adel Abidin, I am sorry, 2008 – The Artist and Mori Art Museum (photo Mohammed Kazem)

Il senso di ridiscussione del ruolo dell’artista in quanto rappresentante di una certa cultura – richiesta cui spesso sono assoggettati artisti provenienti da aree geograficamente o culturalmente periferiche rispetto all’eurocentrismo tuttora dominante – si trova nel lavoro di Adel Abidin I am sorry (2008/2012) e in Shadow Sites I (2010) di Jananne Al-Ani, due artisti iracheni da anni stabilitisi in Europa.
L’ultima sezione della mostra, riservata alla memoria, include diversi artisti libanesi e palestinesi, per ragioni contestuali drammaticamente esposti da anni a una riflessione sulla provvisorietà del presente e sulle sue modalità di perpetuazione. Il lavoro di Zena el Khalil Xanadu, YourNeon Lights Will Shine (2010) si ispira ai volantini propagandistici distribuiti nel 2006 dagli aerei militari israeliani che sorvolavano il Libano. Akram Zaatari presenta Saida, June 6, 1982 showing camera movements (2006-09), un progetto che si è sviluppato nel corso di un ventennio e che, rifacendosi ancora una volta all’esperienza vissuta degli attacchi aerei israeliani, mette in questione il sensazionalismo proprio del fotogiornalismo (all’epoca di marca occidentale, anche se oggi diverse stazioni arabe sono perfettamente in grado di competere con gli stessi mezzi). Lamia Joreige presenta Beirut, Autopsy of a City (2010), un titolo esplicito in cui il riferimento a molteplici storie che compongono la Storia pone in questione quest’ultima in quanto pura astrazione.

Maha Mustafa Black Fountain 2008 12 The Artist and Mori Art Museum photo Mohammed Kazem L’intramontabile mito dell’Orient Express

Maha Mustafa, Black Fountain, 2008-12 – The Artist and Mori Art Museum (photo Mohammed Kazem)

Una mostra ricca di punti di vista, da cui risulta comunque chiaro quanto le preoccupazioni e i temi scandagliati nei lavori degli artisti presenti differiscano sostanzialmente in quell’Oriente di mezzo, cui ci riferiamo noi europei quando pensiamo al Levante, e i Paesi del Golfo, oggi sotto le luci dei riflettori in ragione di uno sviluppo economico che genera invidia e preoccupazione, insostenibile quale chiaramente è e si è già rivelato essere.
Il Medio Oriente non è poi tanto omogeneo come sembrerebbe a prima vista. Da ricordare la prossima volta che si prenota un biglietto per l’Orient Express.

Cristiana De Marchi
Tokyo // fino al 28 ottobre 2012
Arab Express. The latest Art from the Arab World
a cura di Nanjo Fumio e Kondo Kenichi
MORI ART MUSEUM
Roppongi Hills Mori Tower (53F)
+81 (0)3 57778600
[email protected]
www.mori.art.museum

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Cristiana de Marchi

Cristiana de Marchi

Nata a Torino nel 1968, da oltre un decennio Cristiana de Marchi si è stabilita in Medio Oriente dove vive e lavora (Beirut, 1998-2006; Dubai, dal 2006 ad oggi). Specialista in arte e archeologia, ha collaborato con varie istituzioni culturali…

Scopri di più