Il Web tra memoria e desertificazione

Guido Segni ha elaborato un progetto di mappatura completa del deserto. Sollevando alcuni problemi cruciali della tecnologia odierna: la sovrabbondanza di dati emessi e l’obsolescenza dei dispositivi digitali.

“Caro Internet, sii paziente, non avere fretta, il deserto sta arrivando”. Questo è lo slogan emblematico con il quale si apre A Quiet Desert Failure, lavoro di Guido Segni presentato in anteprima durante l’ultima edizione di The Wrong, biennale d’arte digitale. In cosa consiste l’opera è presto detto: un bot (piccolo programma che automatizza lo svolgimento di azioni da compiere sul web) preleva da Google Maps immagini del deserto del Sahara e le posta su Tumblr, un’immagine ogni trenta minuti. L’obiettivo di realizzare una mappatura completa del deserto sarà portato a termine nell’arco di cinquant’anni.
Se a prima vista l’operazione può sembrare estremamente semplice o banale, in realtà solleva questioni centrali nel panorama tecno-culturale odierno. In un momento storico caratterizzato dalla sovrabbondanza di informazioni – i contenuti creati quotidianamente da ognuno di noi, così come i dati prodotti dall’utilizzo dei dispositivi digitali che creano una traccia costante delle nostre attività –, i temi dell’archiviazione e della conservazione sono quanto mai centrali.

Guido Segni, A Quiet Desert Failure, 2013-in progress

Guido Segni, A Quiet Desert Failure, 2013-in progress

INCERTEZZA E SOVRABBONDANZA
Quella messa in piedi da Segni è una macchina celibe che intende mettere in crisi la supposizione per la quale gli strumenti e i contenuti prodotti oggi saranno facilmente utilizzabili e fruibili in futuro. La rapidissima obsolescenza dei dispositivi digitali rende pressoché impossibile dire con certezza non solo se Tumblr, Google Maps e il Web stesso saranno ancora disponibili tra cinquant’anni, ma anche se i dati prodotti oggi saranno ancora leggibili. In questo senso, la scelta del soggetto dell’opera è emblematica: il deserto è per sua natura estremamente mutevole, soggetto a modifiche continue imposte dagli agenti atmosferici, senza dubbio il paesaggio naturale meno adatto a un’operazione di mappatura che debba protrarsi per decenni.
A questa incertezza e sovrabbondanza l’artista risponde con la saturazione, generando un lento ma inarrestabile processo di desertificazione.

Matteo Cremonesi

www.desert.fail/ure

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31

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Matteo Cremonesi

Matteo Cremonesi

Matteo Cremonesi (Brescia, 1984) si occupa di arte e nuovi media, interessandosi in particolar modo delle implicazioni sociali e politiche che le nuove tecnologie producono nel mondo contemporaneo. E' docente di “Cibernetica e teorie dell'informazione” presso l'Accademia di Brera e…

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