Addio Borsalino? Dopo 160 anni di attività dichiara fallimento lo storico cappellificio italiano

La notizia arriva nel pieno dei festeggiamenti per il 160esimo anniversario del brand amato da divi del cinema e artisti. Ritorno sulla storia del più celebre cappellificio italiano, da un cortile di Alessandria al successo internazionale.

Senza comparire nei titoli di coda, ha letteralmente fatto la storia del cinema facendosi notare in film di culto e grandi produzioni hollywoodiane, calato sul sopracciglio di gangster e detective privati in tanti classici degli anni Quaranta e Cinquanta, sulla testa di Humphrey Bogart nella celeberrima scena dell’addio a Ingrid Bergman nelle battute finali di Casablanca, o ancora sulla zazzera bionda di Jean Seberg nel film manifesto della Nouvelle Vague, Fino all’ultimo respiro. Il modello speciale disegnato per Marcello Mastroianni in 8 e 1/2 ha conquistato un’altra star del cinema, Robert Redford, al punto da spingerlo a scrivere a un erede del fondatore del brand per richiederlo. Vera e propria icona di stile italiano nel mondo, il Borsalino si è perfino concesso sporadiche incursioni nell’arte contemporanea, per esempio con l’installazione presentata dall’artista albanese Anila Rubiku alla 54esima Biennale di Venezia, in cui sessanta cappelli di feltro fornivano un supporto ad altrettanti racconti sull’immigrazione sviluppati attraverso il ricamo. La success story del più famoso cappello italiano potrebbe essere vicina alla conclusione: è di questa mattina la notizia della sentenza del tribunale che, respingendo la richiesta di concordato avanzata dalla Haeres Equita srl dell’imprenditore svizzero Philippe Camperio, di fatto decide il fallimento dello storico cappellificio Borsalino di Alessandria.

LA STORIA DI UN MARCHIO SIMBOLO DEL MADE IN ITALY

Mentre i 135 lavoratori dello stabilimento di Spinetta Marengo attendono di conoscere il loro destino, ripercorriamo la storia di uno dei più famosi marchi del Made in Italy fin dal principio. All’origine di tutto, prima dei divi del cinema e della notorietà internazionale, c’è un uomo. Giuseppe Borsalino, detto “u siur Pipen”, classe 1834, con all’attivo un lungo periodo di apprendistato presso il cappellificio Berteil di Rue du Temple a Parigi. Quando decide di tornare ad Alessandria e di aprire il suo primo laboratorio insieme al fratello Lazzaro, “u siur Pipen” ha già lo sguardo proteso verso quel che succede all’estero – a Denton, a Stockport, a Manchester – e alle macchine che stanno cambiando per sempre il mestiere dei cappellai. La leggenda vuole che il segreto della “bombetta perfetta” venga trafugato dalla fabbrica di Battersby a Londra, dove Borsalino, senza farsi vedere, intinge il suo fazzoletto nella vasca della catramatura. La ricetta funziona, così come il sapiente mix di artigianato locale e tecniche globali, e da allora fabbrica e brand continuano a crescere, mentre il processo produttivo, fatto di ben cinquanta passaggi produttivi e di una media di sette settimane di lavorazione per ogni pezzo, si tramanda di generazione in generazione. Il penultimo capitolo della saga Borsalino – subito prima dell’esplosione della vicenda giudiziaria, comunque già in itinere, che ha portato al fallimento –, è un cappello celebrativo che porta il nome del fondatore, riedizione in materiali pregiati del grande classico disegnato dal Siur Pipen all’inizio del Novecento realizzata in 160 esemplari per celebrare i 160 anni del marchio. Non resta che attendere per vedere chi rileverà il marchio. Nella speranza che qualche grande gruppo decida di rilanciare un nome che non può mancare nelle boutique di tutto il mondo e nell’immaginario dell’eleganza.

– Giulia Marani

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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