L’alta moda è green

Anche il settore del lusso sta adottando orientamenti green, affidando alla moda il compito di veicolare messaggi e nuovi progetti. Mentre François-Henri Pinault e il gruppo LVMH presieduto da Bernard Arnault si contendono la scena, cosa succede in Italia?

Nel fashion la vera novità è questa: il capitale finanziario si sta attrezzando per percorrere strade che paiono senza alternative. François-Henri Pinault, il patron di Kering (Gucci, Bottega Veneta, Stella McCarthy, Puma, Yves Saint Laurent…), ha annunciato un programma che vedrà la sua conclusione nel 2025. Dieci anni per applicare le indicazioni che vengono dalle Nazioni Unite: taglio del 50% delle emissioni di carboni fossili nella produzione e almeno il 40% in meno per quel che riguarda l’impatto ambientale proveniente dalla lavorazione dalle materie prime. Qualcuno sta pensando che si tratti di greenwashing? Se il greenwashing è avvertito come necessario, ben venga. “Il vero lusso si basa sul concetto autenticità. Il prodotto è quasi sempre secondario rispetto all’esperienza del prodotto. Se il tuo prodotto non è in sintonia con i valori più sentiti, in questo business non sopravvivi”. Non c’è che dire: questo si chiama approccio concreto al problema. È vero, Pinault non è sceso nel dettaglio. Non ha spiegato quali, ma soprattutto quanti investimenti farà. Ma è evidente che si espone e lo fa perché una nuova generazione di consumatori sta mettendo i marchi sotto osservazione. “Già il consumatore ti penalizza se pensa che ti disinteressi del problema”, ha proseguito. “Non si tratta di fare primi della classe: muoversi in questa direzione è piuttosto una necessità assoluta”.

I consumatori sono importanti, ma lo sono anche investitori. Quelli che acquistano i titoli in Borsa, gente che al termine sostenibilità preferisce quello di risk management approach o brand reputation”.

E infatti non è l’unico a farlo: nella stessa direzione sta andando il mega competitor LVMH (Vuitton, Fendi, Dior, Bulgari, Givenchy…) con la sua iniziativa LIFE. Perché i consumatori sono importanti, ma lo sono anche investitori. Quelli che acquistano i titoli in Borsa, gente che al termine sostenibilità preferisce quello di risk management approach o brand reputation. Per loro il riscaldamento globale è direttamente collegato alla volatilità del prezzo di materie prime come il cotone o la pelle. E in Italia?  Ministero e ICE supportano “lo scouting e il tutoraggio di giovani designer”. Roma, Milano e Firenze si danno un gran da fare “per creare opportunità di contatto con i buyer”. Mostre ed esposizioni, sfilate e sfilatine, enti e rispettivi AD, direttori e curatori di bellezze varie fioriscono ovunque. E poi c’è il coinvolgimento diretto della politica: prima Renzi, a ogni nuova stagione a cena con i big della moda milanese; ora c’è Calenda che in passerella (mediatica) mette sul tavolo qualche decina di milioni di euro e commenta: “I soldi non sono un problema, il problema sono i progetti”. Appunto.

Aldo Premoli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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