Artefice e inventore. Osvaldo Borsani a Milano

La Triennale di Milano ‒ fino al 16 settembre 2018. La sede milanese ospita la prima grande retrospettiva dedicata ai progetti dell’architetto e designer di Varedo.

Un’enorme firma di Osvaldo Borsani (Varedo, 1911 ‒ Milano, 1985), come un’insegna al neon, corre lungo la parete iniziale della mostra retrospettiva più estesa mai dedicata al suo lavoro. Il percorso, a cura di Norman Foster e Tommaso Fantoni, nipote del grande architetto e designer recentemente celebrato anche con una mostra a cura di Ambra Medda nella sua villa di famiglia a Varedo, è scandito, introdotto e sostenuto da moduli cubici bianchi che si ripetono come gabbie prospettiche, profili di sostegno che formano un’arena reticolare per oltre trecento elementi (oggetti, arredi, pezzi unici, prodotti industriali, documenti di archivio, schizzi originali e persino opere d’arte).
Alcuni progetti, fin dagli inizi del percorso ‒ sentiero attivato da una specchiera e alcuni comodini in legno della fine degli Anni Venti, disegnati da Gino Maggioni (provenienza Atelier di Varedo) ‒, risultano quasi perfettamente inseribili, integrabili, a livello geometrico e di disegno, all’interno della griglia teutonica e bianca che riveste l’intera lunghezza della curva sud-est in Triennale. Fra i primi arredi della mostra è esposto, come inizio di una lunga serie di collaborazione artistiche, anche un paravento in legno dipinto da Depero nel 1939; lavoro che spezza il motivo serrato dell’allestimento, spesso in sovrapposizione con forme e rifiniture. La preponderanza del modulo cubico, infatti, talvolta esaspera la propria presenza attraversando le superfici trasparenti di vetro oppure nascondendo lavori più piccoli. Nell’alternarsi di gradinate ad altezza occhio, o ad altezza vetrate superiori, tavoli della fine degli Anni Trenta, con piani di cristallo, firmati ABV, oppure oggetti più piccoli come lampade a muro, lampade a sospensione, o lampade a stelo vengono attraversati e fagocitati dai profili metallici bianchi.

Osvaldo Borsani. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2018. Courtesy La Triennale di Milano

Osvaldo Borsani. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2018. Courtesy La Triennale di Milano

UNA CARRIERA IN EVOLUZIONE

Rispetto ai lavori di Maggioni, il genio creativo di Osvaldo Borsani avrebbe raggiunto la piena maturità solamente una dozzina di anni più tardi, con il progetto di Villa Borsani a Varedo, nel 1940. I curatori hanno deciso, come principio della mostra, di evidenziare l’intero contesto di provenienza dell’universo-Borsani, proponendo anche alcuni lavori di Borsani-studente al Politecnico di Milano e realizzando una selezione che amplifica il senso stesso del termine produzione.
I primi passi di Atelier Varedo vengono esposti frontalmente rispetto agli arredi. I visitatori possono così seguire su due versanti, sulle rispettive superfici a parete, a sinistra e a destra del percorso, le costanti evoluzioni della cultura del progetto, attraverso il segno. Osservando cioè la sequenza fitta di prototipi e disegni su cartoncino (oppure su carta da spolvero), composti anche da Galeatti e da Giandante X, almeno lungo l’arco degli Anni Venti.

Osvaldo Borsani. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2018. Courtesy La Triennale di Milano

Osvaldo Borsani. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2018. Courtesy La Triennale di Milano

COME DUE EMISFERI

L’intero allestimento è concepito come una continua connessione tra parte destra e parte sinistra degli spazi, come un enorme meccanismo cerebrale che da un lato, lungo un emisfero, raccorda le linee e dall’altra assembla la materia, ne scopre i meccanismi, la lascia prendere vita, la esalta e infine la impreziosisce con numerose opere d’arte. Dalle ceramiche di Fontana alle Zone riflesse di Scheggi alle sculture di Melotti, di Agenore Fabbri, Pomodoro, Crippa e Sassu: frutti di grandi amicizie e profonde collaborazioni. La mostra celebra, dalla seconda metà in avanti, la grande avventura della Tecno, esponendo i celeberrimi D70, P40, T49 e T91 su larga scala, per poi, sul finire, includere il sistema per uffici Nomos, prodotto da Norman Foster and Partners nel 1986 e terminare con la gigantesca proiezione di un lungometraggio su Borsani.

Ginevra Bria

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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