Il nuovo corso di Operae a Torino. Fra luci e ombre

Dopo otto edizioni, la fiera torinese dedicata al design indipendente si stanzia al Lingotto, a ridosso di Artissima. Nonostante il successo in termini di pubblico, di vendite e persino di adesioni, da parte degli allestitori ‒ raddoppiati ‒, l’alta qualità attesa e, spesso, esibita non emerge rispetto alle edizioni passate.

Il caos non deve preoccuparci: è una fantastica opportunità, poiché le cose più interessanti nascono sempre ai limiti, vicino ai confini, dove accadono le contaminazioni”, aveva affermato la curatrice dell’ottava edizione di Operae, Alice Stori Liechtenstein, forse presentendo alcuni snodi, non risolti, del nuovo exploit al Lingotto del design indipendente dal titolo Why Design. Un susseguirsi di sezioni e stand, dedicati al design, proprio di fianco all’Oval, sede di Artissima.
Le premesse per formulare un nuovo orientamento alla qualità e una solidità strategica del format erano tecnicamente perfette. I dati non mentono. Gli espositori sono stati 148; i visitatori, in tre giorni di apertura, sono stati oltre 21.300. Inoltre, grazie a un programma rigoroso di business meeting, sono stati realizzati 365 incontri, tra 141 partecipanti provenienti da 15 Paesi diversi. Questo significa che non solo il piano di comunicazione –ben veicolato, visivamente, da una nuova veste grafica di Undesign ‒, ma anche lo spostamento a ridosso di Artissima ha suscitato un’attenzione estremamente superiore, da parte di tutti i pubblici di riferimento – collezionisti inclusi ‒, rispetto alle scorse edizioni.

Operae 2017. Plusdesign

Operae 2017. Plusdesign

I RISCHI

Eppure, quando una rassegna dedicata al design indipendente si ingrandisce in maniera repentina e modifica i connotati che l’avevano accompagnata – i punti di riferimento fatti anche di atmosfere antiche, di palazzi del centro città e di una densità curatoriale elevata ‒, espandendosi all’interno di porzioni di superfici fieristiche trascurate, i rischi sono due: dispersione e stravolgimento dell’identità. L’aumento di superfici a disposizione, per alcune gallerie avviate, come Nero di Arezzo, come Camp Design Gallery e come l’inarrestabile Luisa Delle Piane, ha rappresentato un punto di forza, offrendo maggior respiro allestitivo e un ampliamento della selezione di autori, oggetti e concept esposti. Ma i corridoi troppo larghi, rispetto alle piccole “cabine” occupate, invece, dai pionieri emergenti, i veri protagonisti del design indipendente, come Maddalena Selvini, Jonathan Hotz e Alberto Bellamoli, hanno penalizzato gli oggetti esposti.

Operae 2017. Piemonte Handmade Setting

Operae 2017. Piemonte Handmade Setting

TRE CADUTE DI STILE

Tre sono risultate le cadute di stile dell’ottava edizione di Operae, tre inesattezze che hanno minato la presentazione qualitativa dei progetti esposti (comunque ineccepibile nei casi di molti degli autori presenti, fra i quali: Alissa Volchkova, Andrea Bouquet e Sarah-Linda Forrer). Prima fra tutte l’effetto inespressivo provocato dai vecchi neon, mal distribuiti a soffitto; illuminazione che ha illividito, a seconda dell’accortezza di ciascun espositore, i materiali e le forme inedite – interessando persino l’approfondimento su Franco Grignani.
La seconda è stata la presentazione di una sorta di punto di raccolta, di confinamento di Dreamers, il progetto ospite che avrebbe dovuto proporre un percorso abitato da visioni e progetti, abiti e accessori per raccontare la nuova scena contemporanea e che invece si è rivelato un suk oscuro, affollato di vestiti esposti come un negozio di seconda mano ‒nonostante l’eccellenza di alcuni capi (Matilda Norberg e Carlo Volpi).
Un’ultima nota negativa va diretta al segno distintivo di Operae, disegnato come un labirinto frontale. Si tratta di Piemonte Handmade, ambiente espositivo che ha messo in risalto la collaborazione tra designer, artigiani e gallerie di design, impegnati nel produrre progetti unici, presentati in anteprima a Operae, e che non è stato, quest’anno, correttamente trasmesso. Facendo venir meno un discorso critico sulla territorialità che avrebbe dovuto tracciare un’evoluzione reale, esistente, di diversi settori. In Piemonte Handmade, l’arte suscita interrogativi e il design li risolve. Ma come evidenziare il rapporto tra funzionalità e libera creatività in due discipline affini, eppure diverse, come il design e l’arte del saper fare? Quanto sappiamo leggere il linguaggio che parlano gli oggetti di design straordinari? Ma soprattutto, come presentarli e comunicarli in un momentum che ha abbandonato non tanto la propria terra quanto le proprie radici?

Ginevra Bria

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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