Le sedie 3D di Nagami. Intervista a Manuel Jiménez García

Parola al cofondatore del marchio spagnolo che, con la complicità di big del calibro di Patrick Schumacher, Ross Lovegrove e Daniel Widrig, lancia sul mercato una piccola linea di sedie rivoluzionarie.

Presentato in anteprima all’ultimo Salone del Mobile, Nagami è un nuovo marchio spagnolo dedicato alla sperimentazione di arredi stampati in 3D. Incontriamo i tre soci ‒ Manuel Jiménez García, Miki Jiménez García e Ignacio Viguera ‒ durante l’evento di lancio del brand a Milano: giovani, intraprendenti e molto occupati. Come base per la loro azienda hanno scelto un piccolo contesto – Avila, poco fuori Madrid – per dare vita a un business innovativo, che mette le sue radici in Spagna (Paese natale del trio) ma guarda, fiero, al mondo intero.
Con loro, i mostri sacri del design Patrick Schumacher, Ross Lovegrove e Daniel Widrig, autori per Nagami di una collezione di sedute in 3D printing, che strizzano l’occhio al design parametrico – sistema basato su linguaggi di programmazione algoritmica complessa ‒stravolgendo le aspettative di cosa possa essere, nel XXI secolo, la configurazione di una seduta. Una simbiosi tra locale e globale, energie fresche e tecnologia all’avanguardia che sta dando vita a inedite sperimentazioni, formali e materiche. Ne abbiamo parlato con Manuel Jiménez García.

Iniziamo con una curiosità: da dove viene il nome Nagami? Questo nome, in effetti, ricorda i piccoli mandarini cinesi o ‒ in generale ‒ qualcosa di orientale. Dove è nata l’ispirazione?
Nagami è una combinazione dei nostri nomi, così come un frutto giapponese: “naga” significa lungo e “mi” frutto. Stavamo già stampando i primi progetti mentre cercavamo un nome e questi oggetti erano plasmati da linee continue di plastica, lucide e piene di colori vibranti, come l’interno di un mandarino, così abbiamo pensato fosse perfetto! Inoltre, non è la prima azienda tecnologica con il nome di un frutto, pensate ad Apple. Certo, abbiamo ancora una lunga strada da percorrere per battere il nostro concorrente fruttato [sorride, N.d.R.].

Raccontaci qualcosa di più sulla vostra azienda.
Nagami è il risultato di idee giovani e fresche sul design e la produzione, ma anche il risultato di un momento culturale e socioeconomico molto specifico in cui attualmente viviamo. Il laboratorio di ricerca presso la UCL Bartlett School of Architecture dove lavoro indaga nuovi metodi di progettazione con l’uso di robot negli ultimi cinque anni. Nel 2016, Gilles Retsin e io siamo stati contattati dal Centre Pompidou per sviluppare un pezzo per la mostra Imprimer le Monde. Ci siamo resi conto allora che se avessimo voluto che questo progetto andasse oltre la ricerca accademica, avevamo bisogno di un set up professionale per il suo sviluppo, e gli incredibili prezzi di Londra non ci avrebbero mai permesso di avviare un’impresa così nel Regno Unito.

Nagami. Brave New World. Photo © Mattia Caprara

Nagami. Brave New World. Photo © Mattia Caprara

Che cosa successe quindi?
Nel frattempo, i due partner Miki Jiménez García – mio fratello ‒ e Ignacio Viguera, architetti, avevano avviato una società di prototipazione digitale ad Avila (Spagna). Gli affitti bassi di una città devastata dalla crisi e un’atmosfera propizia per un nuovo business hanno fatto di Avila il terreno perfetto per un’iniziativa così avventurosa. Abbiamo così unito le forze e creato VoxelChair v1.0, che è oggi parte della collezione permanente del museo. Abbiamo quindi continuato a sviluppare la tecnologia e iniziato a creare i nostri prodotti. Personalmente sono ancora di base a Londra, dove la scena del design e dell’architettura è incredibilmente vivace. Il nucleo dell’azienda è, infatti, strettamente legato a questa scena internazionale e funziona in perfetta sinergia con i nostri impianti di produzione in Spagna.

Da dove viene questa predilezione per il parametrico? Solo da te o da tutti e tre i soci?
Condividiamo tutti la passione per l’innovazione e la voglia di sviluppare prodotti legati alle tecnologie più all’avanguardia. Io sono specializzato nella progettazione computazionale, che non significa necessariamente parametrica, ma una concezione globale di come la programmazione informatica cambi radicalmente il modo in cui progettiamo e costruiamo. Il parametrico è uno degli aspetti del design computazionale che esploriamo in alcuni dei nostri progetti e prodotti.
La sinergia tra l’amore di Miki e Nacho per la tecnologia, la loro capacità di vedere attraverso tutte le parti di un sistema e la mia ansia di esplorare nuove frontiere nel design e architettura digitale sono alcuni degli aspetti principali che fanno funzionare questo progetto. La materializzazione di nuove forme attraverso il 3D printing è, infatti, possibile solo attraverso processi computazionali. Abbiamo sempre cercato di spingere quei processi fino al limite, cercando di creare nuove sorprendenti tipologie.

Grandi player per la collezione di lancio che vi ha presentato sulla scena mondiale del product design. Un lancio con il botto: grandi nomi, contesto importante (Milano Design Week), tecnologie d’avanguardia. Dov’è il segreto?
Direi che non c’è segreto, solo duro lavoro e disponibilità a rischiare. Nagami è stato un progetto pazzo fin dal primo giorno, abbiamo creduto nelle prospettive di questa impresa e nel suo potenziale fondamentalmente nuovo, ci siamo battuti per questo. Quando abbiamo discusso su come lanciare il marchio, abbiamo pensato che sarebbe stato bello invitare a far parte di questa avventura designer esterni che fossero appassionati di tecnologia e design come noi. Era importante lavorare con persone di cui ci fidiamo e che ammiriamo. E quelli selezionati ‒ Patrick Schumacher, Ross Lovegrove e Daniel Widrig ‒ ci offrono sempre design e innovazione di alta qualità in ogni progetto. Ci conosciamo da un bel po’ e abbiamo sempre avuto buone conversazioni sulle possibilità del design nell’era futura della computazione e dell’automazione. Questa atmosfera positiva, dominata da una comune passione per il design e l’architettura computazionale, è stata fondamentale per questo progetto. Quando è emersa l’opportunità, non abbiamo avuto dubbi sul fatto che questa fosse la squadra perfetta, quindi abbiamo dato tutto il nostro cuore per realizzare questo progetto.

Nagami, Peeler by Daniel Widrig. Photo © Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti

Nagami, Peeler by Daniel Widrig. Photo © Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti

Parliamo di tecnologia. Sul sito web sembrano esserci sette diverse tecniche per l’utilizzo di queste macchine. Parlaci un po’ meglio di questo nuovo approccio alla robotica e ai nuovi materiali.
La fabbricazione robotica non è una nuova tecnologia, e nemmeno il 3D printing lo è. Esistono già milioni di esempi di oggetti e prodotti sviluppati utilizzando queste tecnologie. La nostra idea principale era cercare di spingerli verso territori inesplorati, per creare un atteggiamento progettuale completamente nuovo nei confronti di questi metodi di produzione, piuttosto che usarli per replicare quegli oggetti che conosciamo. Quindi stiamo cercando di avviare nuovi ragionamenti sul design, che non avremmo potuto fare senza questa tecnologia. Il 3D printing è ancora lento e inefficiente e, nella maggior parte dei casi, non economico. Il nostro primo obiettivo era superare questi problemi, per consentire la produzione di prodotti 3D printed più grandi a una gamma di prezzi accessibile. Abbiamo sviluppato il nostro metodo di estrusione e il nostro set di strumenti digitali per renderlo possibile. Alcuni dei nostri primi prodotti, come Nital, hanno già introdotto spessori variabili per ottenere forme oltre le estrusioni ortogonali; oppure sfumature di colore incorporate nel processo di estrusione, che presto è diventato parte dell’identità del brand. Alcuni di questi aspetti sono stati ulteriormente esplorati nelle sedie presentate alla Design Week di Milano, come il gradiente di colore in Robotica TM e Rise, o lo spessore graduale in entrambe le sedie di ZHA.

Solo design o anche architettura computazionale?
Sicuramente entrambi. Abbiamo iniziato la nostra ricerca sull’estrusione robotizzata della plastica con lo scopo di sviluppare metodi per elementi architettonici. Abbiamo testato la maggior parte di questi nei mobili, dal momento che sono più fattibili e più veloci da sviluppare, ma allo stesso tempo condividono alcuni dei vincoli strutturali presenti nell’architettura. Siamo ancora all’inizio di questa avventura, ma presto vedremo oggetti più grandi sviluppati con la nostra tecnologia, così come diversi prototipi che esplorano il futuro dell’automazione in architettura.

Tre parole/aggettivi per descrivere il tuo lavoro.
Invisibile, avventuroso, fondamentalmente nuovo.

Prospettive future?
Stiamo già pianificando nuovi trend di ricerca per le nuove collezioni. Queste includeranno pezzi stampati simultaneamente da due/tre robot, che permetteranno di materializzare geometrie che in precedenza erano irrealizzabili. Stiamo anche preparando una più ampia collezione di oggetti più piccoli che mirano a ripensare a quegli strumenti che ognuno ha a casa propria. Allo stesso tempo, continuiamo a esplorare nuovi metodi per scale più grandi: un nuovo sistema di alloggi come parte di una collaborazione accademica, che speriamo di poter mostrare molto presto!

Giulia Mura

www.nagami.design

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Giulia Mura

Giulia Mura

Architetto specializzato in museografia ed allestimenti, classe 1983, da anni collabora con il critico Luigi Prestinenza Puglisi presso il laboratorio creativo PresS/Tfactory_AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica) e la galleria romana Interno14. Assistente universitaria, curatrice e consulente museografica, con…

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