Accademia Albertina. L’ultima generazione

Qualcosa si muove all’Accademia di Belle Arti di Torino. Non certo nelle alte sfere, dove i pasticci sono (stati) tanti. Ma noi siamo andati a guardare fra gli studenti, dove qualche giovane di buone speranze c’è.

Mentre ormai molti artisti si fan da sé – bastano infatti una trovata e mani pronte all’esecuzione – e altri non fanno il salto di qualità, mancando in verve o tempestività, pare che tre giovani di Pittura, sotto le ali di Marco Cingolani, si apprestino a salutare il nido. Quasi come in uno scatto al rallentatore, ecco il passaggio delicato dallo status di studente a quello di artista. Si seguono le lezioni, si studia la storia dell’arte, ma soprattutto si gravita attorno alle gallerie più in voga della città: Guido Costa Project, Noero, Peola, In Arco; si impara su Flash Art, Mousse, Artribune; e poi ci sono i blog, che fanno un gran parlare, come Art Text and Pics o Contemporary Art Daily. Di giorno si sta in aula e, tra muro, chiodi e martello, ma senza cavalletto, si sperimenta e ci si confronta, altalenando tra le scudisciate del mentore e le sue elettrizzanti conferme; di pomeriggio, poi, in studio.
Quello che oggi contraddistingue Erik Saglia (1989), Corinna Gosmaro (1987) e Alessia Xausa (1991) in Accademia, infatti, è la necessità di ritagliarsi uno spazio che sia al contempo personale e solido, dove veder crescere il proprio lavoro insieme a se stessi: “Stare in studio mi fa stare bene, è la mia necessità e ossessione”, racconta Erik. Informati al punto giusto e focalizzati sul lavoro, senza tralasciare un po’ di cura dell’atteggiamento, i tre iniziano a fare mostre entrando nel sistema dell’arte contemporanea prima ancora di essere usciti da quello dell’istituzione scolastica; qui entra in gioco la tempestiva curiosità di Thomas Brambilla, gallerista di Bergamo. Saglia presenta i suoi lavori, pannelli in legno con griglie di scotch di carta su sfondo sprayato; piacciono. Nasce così la prima collettiva, Too big or not too big, con nomi come Cingolani, per un dialogo diretto tra maestro e allievo, ma anche Osmolovsky, Giaconia e Friedman, ai quali si aggiunge anche Alessia Xausa, con una grande opera di olio su tela – molto olio, in una tela libera da cornice, grossa come un lenzuolo, con rigonfiamenti, inserti e sovrapposizioni.

Erik Saglia, Studio view, 2013

Erik Saglia, Studio view, 2013

Corinna Gosmaro, infine, abbandonata la pittura scritta e il flusso di coscienza, dopo le prime esposizioni alla Galleria Raffaella De Chirico, affianca le sue opere a quelle dei colleghi nello stand di Brambilla ad Artissima 2014: e il trio è fatto. Anche il lavoro di Corinna si concentra sulla questione della superficie – niente scritte, niente naturalismo o figurazione, niente racconti, niente prospettiva: il soggetto dell’opera coincide con il mezzo. I filtri, lo scotch e la tela divengono così per i tre teneri artisti ring d’azione e segno di riconoscibilità, in un’attitudine lavorativa che non rinuncia a cifre come progettualità, serialità e ricerca.
È un continuo imparare dalla storia dell’arte, da quella italiana soprattutto, irrinunciabile marchio di fabbrica; è un continuo dialogo e scambio con la testimonianza – e non l’influenza diretta – di grandi come Castellani, Fontana e Boetti in patria, di Pollock, Rotchko e Rauschenberg oltremare. “Il mio desiderio sarebbe quello di diventare un’artista internazionale, ma pur sempre italiana”, sottolinea la Gosmaro.
Dopo l’esperienza di Artissima, grazie alla quale Xausa entra nella collezione del nascente museo della fondazione Ettore Fico, l’avventura continua alla fiera di Bologna e addirittura al NADA di New York per l’ex graffitaro e train-bombing Saglia, di cui già si pregusta la personale da Brambilla, Sniffinglue. Molto diversi i materiali e le tecniche utilizzate, i membri del gruppo (se così lo si può chiamare) sono accumunati, come accennato in precedenza, dall’interesse per la superficie di lavoro, cioè, non sulla rappresentazione – di pensieri, stati d’animo o della realtà esterna – ma sul campo d’azione del processo artistico. Come si può intuire dal titolo Il letto dell’orso, erotismo e ardore convivono nelle grandi e indomabili tele di Xausa dai toni audaci, ocra, rosso acceso e grandi campiture di nero. “Cosa mi spinge a produrre le mie opere? È un processo di gestualità e miglioramento del segno, una sorta di esercizio spontaneo”, racconta la pittrice. Dalla grande superficie ammiccante si passa alla forma ordinata dei filtri di Gosmaro: rettangolari o preferibilmente quadrati e impilati, come nella serie Take care of…, questi vengono passati con spray o olio lasciando chiazze di colore e aloni che vengono in parte assorbiti, secondo la specificità del materiale scelto.

Alessia Xausa, Hat hat hat, 2013

Alessia Xausa, Hat hat hat, 2013

Lo stesso ordine è riscontrabile infine nella precisione della struttura creata da Saglia, nella perpendicolarità delle linee giallastre, che come la griglia delle strade della sua Torino, si incrociano con l’imperturbabilità dei 90 gradi e i toni deprimenti di una luce da cantina, sotto cui scalcia un azzurro cielo soffocato. Le opere vendono, la galleria è soddisfatta, gli artisti sono lanciati: rimarrà un segno nel potpourri della moda del Contemporaneo, dove è ormai quotidiano il dubitare? Per ora appuntamento a MiArt; per il resto, non è ammessa veggenza per l’arte e il suo mercato.

Clara Rosenberg

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Clara Rosenberg

Clara Rosenberg

Clara Sofia Rosenberg (Torino, 1990). Nel 2013/2014 studentessa all’ultimo anno della specialistica all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, si orienta verso la critica d’arte creando e sperimentando il blog CONUNDRUM, oltre a recensire alcune esposizioni di gallerie d’arte e…

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