Brain Drain. Parola ad Anna Mastrolitto

Un lungo amore per la città di Barcellona, dove si è formata e ha iniziato a coltivare la professione di cultural project manager. Poi una pausa a Roma e ultimamente il rientro in Catalunya. Anna Mastrolitto - nata a Foggia - ci racconta il fascino che Barça esercita sugli italiani, dal punto di vista di un operatrice culturale.

Cosa ti ha portato a Barcellona? E perché ci sei recentemente tornata?
Sono arrivata a Barcellona nel 2004 dopo aver concluso il triennio universitario con una tesi in Economia della Cultura sul Sónar. Ero piena di sogni ed entusiasmo con la voglia di vivere il fermento culturale della città. In sette anni, mentre continuavo nella formazione accademica, ho svolto attività di comunicazione, public relations, fundraising e contrattazione artisti per festival ed eventi culturali. Negli ultimi anni ho seguito anche la passione per la scrittura collaborando con alcune riviste e presentando le mie poesie in esposizioni d’arte indipendenti.
Poi ho sentito il bisogno di una pausa, per mettere ordine tra le mie esperienze. E forse avevo bisogno di allontanarmi dalla città per sentirne la mancanza e tornare ad amarla. Nei due anni che ho trascorso a Roma ho sempre mantenuto i contatti con Barcellona e quando ho ricevuto un’offerta di lavoro interessante ho fatto le valigie e sono tornata “a casa”. Attualmente organizzo, per conto di Screen Projects e dell’Università di Barcellona, un seminario sul management culturale: Loop Studies, International Meeting Point for Cultural and Creative Players. Il focus di quest’anno sarà rivolto al mondo dei festival.

Barça è stata meta privilegiata dagli italiani per molti anni. La comunità è estesa. Nonostante la crisi, rimane valida ancora per un’operatrice culturale?
Io sono arrivata in un momento in cui la città era in fermento e ogni sogno sembrava possibile. Oggi credo che, dal punto di vista professionale, Barcellona sia meno aperta a chi non ha già costruito una reputazione e relazioni solide prima della crisi. Nonostante ciò, rimane sempre un buon approdo dove fermarsi a respirare e rubare un pizzico d’ispirazione e creatività.

Screen Festival - photo Carlos Collado

Screen Festival – photo Carlos Collado

Quali possibilità, sistemi, metodi, network rispetto all’Italia?
Noi italiani pensiamo troppo prima di intraprendere una nuova avventura. Ho l’impressione che le persone che vivono a Barcellona siano più impulsive, coraggiose, meno spaventate di cadere rispetto a noi italiani. Questa città mi ha insegnato a scoprire il mio talento e non aver paura di metterlo in luce.
Appena tornata in Italia mi sono fatta scoraggiare dalle prime porte chiuse, poi alcuni incontri, o alcuni appuntamenti come ArtLab, mi hanno dato la carica per ripartire. Da Eccom, Round Tables, Monti&Taft e Tools For Culture ho ricevuto opportunità per rimettermi in gioco e sperimentare anche “i metodi di lavoro italiani”.
Adesso la mia base è di nuovo Barcellona, ma continuo ad avere un piede in Italia. Per il momento ho coinvolto Tafter Journal in una collaborazione con Loop Studies, mentre con Tools for Culture stiamo lavorando al concetto della prossima SAM masterclass, che porteremo a Barcellona in autunno. Spero continueranno a esserci sempre occasioni per mantenere vivo il legame con l’Italia.

Mi segnali benchmark di riferimento?
Senza dubbio i festival, catalizzatori di preziose risorse, economiche e non, per la città. Eventi internazionali, come il Sónar e il Primavera Sound, attraverso la musica, irradiano la città di un’adrenalina e un’energia coinvolgente. Altri festival, come Screen – The Moving Image City Festival, In-Edit – International Music Documentary Film Festival, Mutek.es – International Festival of Digital Creativity and Electronic Music, portano nuovi punti di vista o riscaldano la città anche quando non è più estate.
Questi eventi generano indubbiamente un’attività economica per la  città che li ospita, ma le istituzioni locali non sempre hanno saputo capire e promuovere nella giusta misura. Ciò ha fatto sì che le organizzazioni sviluppassero una certa autonomia e creatività nella gestione delle risorse.

Reverie - photo Alessia Laudoni

Reverie – photo Alessia Laudoni

Quale opportunità di crescita, anche nei confronti dei catalani?
Barcellona offre la possibilità di lavorare con persone che provengono da ogni parte del mondo. Questo favorisce l’apertura di nuove finestre e la scoperta di scenari diversi. La crescita viene anche dal confrontarsi ogni giorno con il coraggio e la voglia di sperimentare che si respira in città.

Consigli per i colleghi? E per la politica culturale?
Consigli per i colleghi, e per me stessa: coltivare una formazione continua, viaggiare, osservare, sognare.
Per la politica culturale: favorire i giovani nella creazione di nuovi progetti e realtà. In questo momento viviamo in un Paese governato da una generazione corrotta che sembra non voler far emergere il talento e la creatività. È necessario realizzare luoghi in grado di costruire sinergie tra giovani creatori culturali ed enti, imprese, istituzioni disposte a scommettere sulle idee, e quindi nel cambiamento.

Neve Mazzoleni

http://loop-barcelona.com/2013/fair/loop-studies/

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Neve Mazzoleni

Neve Mazzoleni

Neve Mazzoleni. Background di storica dell’arte e filosofa, perfezionata in management dell’arte e della cultura e anche in innovazione sociale, business sociale e project innovation. Per anni è stata curatrice ed exhibition manager della collezione corporate internazionale di UniCredit all’interno…

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