Arte Fiera è come il PD. L’opinione di Alberto Fiz

La crisi della kermesse bolognese e qualche consiglio al nuovo direttore, in questo editoriale analitico di Alberto Fiz. Che utilizza come chiave di lettura il comportamento del Partito Democratico, simile ad Arte Fiera quanto a errori e arroganza.

Complimenti a Simone Menegoi, nuovo direttore di Arte Fiera. Lui non è un manager, come molti avrebbero voluto, ma è certamente un critico capace, non allineato, in grado di realizzare scelte autonome, come ha già dimostrato nei progetti curati per Artissima.
Non c’è dubbio, tuttavia, che si trovi a fronteggiare una situazione estremamente difficile.

ARTE FIERA E IL PARTITO DEMOCRATICO

La kermesse bolognese assomiglia tanto al PD che nelle ultime elezioni ha perso voti a rotta di collo in base ad una frenata che non si è ancora arrestata, sebbene non sia mai stata così evidente come oggi la distinzione tra destra e sinistra.
Ma quando Matteo Renzi furoreggiava alle Europee del 2014, Arte Fiera stava già ruzzolando. L’anno di svolta è stato il 2012 quando la direttrice Silvia Evangelisti si trovò a fronteggiare una crisi epocale con il governo Monti che aveva preso le redini di un Paese giudicato tecnicamente fallito, come si diceva allora. Ebbene, le iscrizioni calarono drasticamente da 201 dell’anno precedente con un ottimo parterre, forse il migliore della sua storia, a 153 con il progressivo allontanamento degli stranieri che da quel momento a Bologna sono diventate mosche bianche.

L’ERRORE DI BOLOGNA FIERE

Anziché valutare le difficoltà del momento, i responsabili di Bologna Fiere pensarono bene che fosse più comodo trovare un capro espiatorio e sollevare la storica direttrice dall’incarico, un errore imperdonabile da parte di una struttura che da allora ha iniziato una rapida decadenza. Il solo torto di Evangelisti era stato quello di aver tenuto la barra dritta e aver difeso la fiera dall’arrembaggio dei mercanti mediocri limitando drasticamente il numero degli espositori.
Sembra sia passato un secolo, ma allora Bologna era, in termini commerciali, la prima manifestazione italiana con a fianco buona parte delle più influenti e prestigiose gallerie del Bel Paese. Sotto il profilo dell’immagine, trionfava Artissima, la fiera giovane e radical chic, fortemente sostenuta dal denaro pubblico dove, più che vendere, contava esserci. Miart, invece, salvata nel 2013 da Vincenzo De Bellis e dall’ente fiera, desideroso di riscattarsi a meno di due anni da Expo, appariva vicina alla chiusura dopo una serie di edizioni da dimenticare e i continui litigi tra i galleristi milanesi. ArtVerona, infine, era una manifestazione locale che sembrava destinata a rimanere nell’ombra, prima che si decidesse di attivare una politica d’investimenti e arrivasse Andrea Bruciati alla direzione.

Arte Fiera, Bologna 2017. Photo Irene Fanizza

Arte Fiera, Bologna 2017. Photo Irene Fanizza

L’ARROGANZA COME COLPA

Sebbene Bologna avesse perso un po’ di smalto, le possibilità per un recupero erano ancora intatte. Nella Città delle Due Torri si vendeva bene e gli affari funzionavano molto più che da altre parti, in base a un sistema dinamico e senza troppi fronzoli. Se in precedenza appariva forse un po’ troppo ruspante, nelle ultime edizioni aveva nettamente migliorato il percorso e l’estetica degli allestimenti.
Invece, come il PD, Arte Fiera, con arroganza e presunzione, ha eroso il suo capitale perdendo il contatto con il territorio e, soprattutto, con il mercato. Altroché Art First, in base allo slogan che per molto tempo ha accompagnato il logo! Una sequela di scelte sbagliate in una fase di profondo cambiamento ha segnato il declino della manifestazione che in poco tempo, da leader del comparto, si è trovata ad inseguire, con affanno, i concorrenti. L’errore più grossolano è stato quello di voler riempire gli spazi a qualunque costo, indipendentemente dalla qualità degli espositori, convinti che il brand della fiera avesse la meglio. Nel 2016, per esempio, si è giunti a 222 espositori, di cui appena il 16% provenienti dall’estero con nomi spesso di scarsa rilevanza. Non c’è dubbio che questa sia stata una politica scellerata che, anno dopo anno, ha convinto in molti a fare le valigie per Milano. Nel 2013, poi, si è scelto il tandem spacchettando la direzione tra Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti (in precedenza, la formula di mettere due galli in un pollaio non aveva funzionato nemmeno a Miart) creando ulteriore confusione in una manifestazione che aveva bisogno di essere riorganizzata. Così, nel 2014 si pensava di aver risolto tutti i problemi annunciando, con enfasi, il clamoroso aumento delle gallerie passate da 136 a 171 con il 25% di crescita rispetto all’anno precedente. Era evidentemente un fuoco di paglia visto che, per raggiungere il risultato, si era dovuto mobilitare persino l’Ottocento, dando alla fiera una patina d’antiquariato. Sull’altro fronte l’accordo con MIA Fair, una manifestazione di fotografia certamente di qualità e nelle prime edizioni persino sperimentale. Ha, però, il suo quartier generale a Milano e clonarla, sia pure con una formula leggermente differente a Bologna, si è rivelato assai poco efficace tanto che, dopo tre anni, l’esperimento è stato accantonato. Il problema vero è che, mentre alla fine del decennio precedente la lista d’attesa per partecipare alla fiera era lunghissima, successivamente talune gallerie non sono più venute nemmeno con le cannonate.

LO TSUNAMI INTERNAZIONALE

Da una situazione di questo genere, era difficile risalire anche tenendo conto che la crisi (non è ancora finita) continuava a mordere e la borghesia, da sempre lo zoccolo duro di una fiera popolare come Bologna, si era impoverita e non appariva più in grado di sostenere la fascia media del mercato. Nello stesso tempo, sono arrivate le assurde restrizioni sugli acquisti imposte dal governo Monti penalizzando soprattutto la fascia dei più giovani.
Da un lato, dunque, un pachiderma immobile, dall’altra la crescita esponenziale di Miart che dopo Expo ha avuto il vento in poppa e il piccolo vascello veronese che conquistava posizioni. A livello internazionale, poi, c’è stata un’espansione impensabile solo dieci anni fa con i grandi network come Tefaf e Frieze che hanno prodotto figli e figliastri (proprio nel 2019 Frieze aprirà a Los Angeles) e Art Basel ormai consolidata anche a Hong Kong. Tutto questo gran proliferare di fiere ha messo l’acquolina in bocca alle gallerie italiane più importanti che per essere accettate nel gotha mondiale sono lentamente fuggite da Arte Fiera, che per loro non è più funzionale. Anzi, appare controproducente visto che devono dividere gli spazi con comprimari italiani di basso profilo e di stranieri nemmeno l’ombra.
In sei anni la kermesse bolognese è stata travolta dallo tsunami e nulla ha potuto fare, nelle ultime due edizioni, Angela Vettese che comunque è riuscita a darle un ordine selezionando 150 espositori. La signora della critica e sofisticata teorica del sistema, meno avvezza nel gestire le beghe tra gallerie e Bologna Fiere, probabilmente è stata messa da parte quando è giunto sul tavolo degli amministratori il bilancio e, nello stesso tempo, sono fioccate le disdette di talune gallerie, non più disposte a pagare la quota della prossima edizione, la numero 43.

Arte Fiera 2017. Mustafa Sabbagh (particolare). Courtesy Galleria Marcolini. Photo Irene Fanizza

Arte Fiera 2017. Mustafa Sabbagh (particolare). Courtesy Galleria Marcolini. Photo Irene Fanizza

IL PROGETTO DEL COMUNE E IL FUTURO DI ARTE FIERA

Ma le colpe, come si è visto, non sono certo di ieri. Per Simone Menegoi, dunque, la matassa da sbrogliare è molto complessa e sono assai significative le parole di Matteo Lepore, l’assessore alla cultura del comune di Bologna con un’infinità di altre deleghe, rilasciate ad Artribune il 4 luglio 2018, che nella sostanza afferma che se il format di Arte Fiera non cambierà radicalmente, nel giro di 2-3 anni si chiudono i battenti.
Tuttavia, prima di pensare alla rivoluzione copernicana, è bene che Bologna Fiere comprenda che oggi non si deve parametrare con Milano (le alleanze con il capoluogo lombardo, come qualcuno sussurra, mi paiono fantascienza) bensì con Verona dove la fiera, ora capitanata da Adriana Polveroni, ben disposta in due padiglioni, cresce di anno in anno. In fondo, lo schema generalista è molto simile, così come il target di mercanti e collezionisti. Peccato che i prezzi praticati agli espositori dalla città veneta sono del 30% inferiori a quelli della costosa Bologna. Il primo passo, dunque, è quello di diminuire le tariffe consentendo anche alle gallerie di ricerca di partecipare alla fiera senza esborsi eccessivi. Ovviamente vanno premiati, anche sotto il profilo economico, le personali e i progetti curatoriali sviluppando una sinergia con il direttore che, spesso, in passato, è mancata. A quest’ultimo, poi, è richiesto un certo pragmatismo e la capacità di rinunciare a talune iniziative collaterali per potenziare la struttura commerciale. Nella sostanza, per almeno quattro anni, la fiera pensi ad investire puntando ad un suo riposizionamento evitando scelte velleitarie o improvvisate. Il mercato dell’arte è in evoluzione e chi pensa ad una Bologna solo legata agli artisti stabilizzati, fa i conti con una manifestazione priva di rinnovamento. Anche nel contemporaneo, le alternative ad Artissima non mancano.
L’ipotesi, poi, di organizzare un’edizione internazionale di Arte Fiera, come suggerisce l’assessore, è prematura in quanto oggi, salvo qualche eccezione, la kermesse ospita prevalentemente gallerie italiane di medio livello, visto che sono in molti, tra i big, a snobbarla. Portare all’estero l’Italietta non sarebbe un grande affare. Ma nel global market, se non partecipano gli stranieri di prima serie, che oggi si vedono solo col lanternino, sarà pressoché impossibile recuperare i mercanti in fuga. Partecipare ad Arte Fiera rischia di essere nocivo per la loro credibilità.
Come il PD, la kermesse bolognese, ha davanti a sé una montagna da scalare e solo un bagno di umiltà la può cambiare. E se questo non avviene, tra 2-3 anni, tutti a casa.
Buon lavoro, Simone.

– Alberto Fiz

http://www.artefiera.it/

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Alberto Fiz

Alberto Fiz

Alberto Fiz (1963), critico d’arte, curatore di mostre e giornalista specializzato in arte e mercato dell’arte. Ha un'ampia attività pubblicistica e saggistica. Ha svolto ruoli di direzione e di consulenza artistica per amministrazioni ed enti pubblici. Ha realizzato il progetto…

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