Referendum. Tomaso Montanari e le profezie in difesa della Costituzione

Nell’infuocato dibattito sulla Riforma Costituzionale, a schierarsi per il No c’è anche Tomaso Montanari, noto storico dell’arte, antirenziano, attivissimo in fatto di politica. Che nel caso del referendum sembra sposare quei trend populisti-complottisti, poco legati al merito della Riforma stessa. Esemplare il suo (imbarazzante) video, che usa una nota tela del Seicento a sostegno delle tesi del No…

STORICO DEL’ARTE E ANTIRENZIANO
Il mondo dell’arte si espone poco, quando si tratta di politica, di scontri tra partiti, di posizioni filo o anti governative. L’intellettuale e l’artista, oggi, preferiscono sottrarsi. Chi per difendere poltrone ed equilibri istituzionali, chi per reale disinteresse.
Tra coloro che invece commentano con energia e non temono di schierarsi, c’è ad esempio lo storico dell’arte Tomaso Montanari, docente all’Università Federico II di Napoli. Oggi aspramente antirenziano, lo si ricorda sul palco della Leopolda 2011 citare l’articolo 9 della Costituzione, o meglio la parte relativa alla “tutela del Patrimonio”; la prima riga, dedicata al valore di sviluppo e ricerca, non era forse funzionale al discorso o alla sua visione generale, tutta orientata a battaglie conservatrici contro la globalizzazione, il ridimensionamento del giogo delle soprintendenze, gli investimenti per grandi opere, le commistioni tra pubblico e privato (raccontata come una “mercificazione” dei musei), lo “sfruttamento” economico della cultura in quanto Petrolio d’Italia.

Idee decisamente distanti da quel Matteo Renzi a cui era inizialmente vicino – tanto da collaborare alla stesura di uno dei 100 punti del primo programma renziano – e che però non lo tenne mai nel suo cerchio magico. Mai un posto di assessore o consulente negli anni in cui era sindaco di Firenze, tantomeno prima, quando era Presidente della Provincia. Poi, a un certo punto, la rottura. Già nel 2012 lo scontro a mezzo stampa sui temi della cultura, e nel 2013 esce il libro Le pietre e il popolo, in cui Montanari attacca spudoratamente il rampante fiorentino, definito un “berlusconiano nativo” e “il più incredibile portatore sano di cultura che si muova sulla scena della politica italiana: nel senso che ne parla in continuazione senza esserne minimamente affetto”.
Nel febbraio 2014 il posto di assessore regionale, in ballo dopo il rimpasto della giunta Rossi, si vanifica nel giro di 24 ore, sembrerebbe – a detta dello stesso interessato – a causa di un veto del PD renziano, mentre sarà l’amico Pippo Civati (anche lui tra gli ex rottamatori) a proporlo come candidato alla Presidenza della Regione Toscana, contro lo stesso Enrico Rossi (poi riconfermato).

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari

AL FIANCO DI SETTIS
Tornando all’intervento alla Leopolda, Montanari condannò (giustamente) l’arte concepita come “lusso per i ricchi” e la miopia di una classe politica che lascia cadere in pezzi le bellezze del Paese. Aggiungendo: “L’arte non è un’industria, non è un luna park e non è il caviale, perché se fosse così la Costituzione non la difenderebbe”. E ancora, a proposito di musei, chiese, palazzi storici: “Restituire agli italiani questo Patrimonio non vuol dire dare loro un lusso superfluo, vuol dire attuare l’eguaglianza costituzionale”.
La Costituzione, appunto. Spesso citata, nei suoi discorsi, e oggi difesa con passione dalle fila del No al Referendum, a fianco sia dell’area Fassina-Civati, sia di quel Movimento Cinque Stelle che lo avrebbe voluto come Assessore alla Cultura della giunta Raggi. Nomina che rifiutò, pur lusingato, convinto che per governare una città “non si può essere capitani di ventura, o tecnici vaganti: bisogna essere un membro stabile di una comunità”. Ma se fosse stato romano – volle precisare – la Raggi al ballottaggio l’avrebbe votata eccome.
È facile (e del tutto comprensibile) che una rogna di tale portata non fosse in realtà troppo appetibile, con tutti i guai che la situazione capitolina si portava appresso. Diverso sarebbe, ça va sans dire, immaginarsi un futuro da Ministro dei Beni Culturali in un ipotetico governo pentastellato. Ma siamo nel campo delle ipotesi, forse della fantapolitica. Non certo delle profezie.

La locandina di un incontro del M5S sul No al Referendum. Tra gli ospiti anche Montanari

La locandina di un incontro del M5S sul No al Referendum. Tra gli ospiti anche Montanari

Di profezie, invece, Montanari si è occupato di recente. E proprio nella sua strenua lotta contro la Riforma Boschi, condivisa con Salvatore Settis, entrambi primi firmatari di un documento che ne contesta alcuni aspetti.
Tra questi: l’esagerato numero degli articoli modificati (47 su 135, è vero, ma per soli cinque macro punti di sostanza, espressi nel quesito referendario; a volte si tratta di piccole modifiche formali, come la cancellazione delle parole Senato e Province, dove non servono più); l’illegittimità di una riforma varata da un parlamento eletto con l’incostituzionale Porcellum (la Corte ha però riconosciuto a tale Parlamento la piena facoltà di legiferare); l’esistenza di alcune materie bicamerali residue (circa il 5% delle leggi, specificate nel famigerato articolo 70); un’ipotetica ambiguità nelle competenze statali e regionali (ma il cuore della riforma del Titolo V sta proprio nella soppressione delle materie concorrenti, evitando l’attuale marea di contenziosi, con tanto di “clausola di supremazia” per lo Stato).
La riforma – che non tocca i valori e i pilastri della Carta costituzionale – agisce sul piano dell’organizzazione statale e punta a snellire, velocizzare, unificare, risolvendo pastoie burocratiche, sovrapposizioni, inutili dilatazioni, beghe, ricorsi e meline varie. Tutto questo viene però percepito, da Montanari & Co., come una minaccia per la democrazia.

Salvatore Settis

Salvatore Settis

LA PROFEZIA PITTORICA
Le profezie, dicevamo. E le ragioni del No. Che Montanari ha spiegato in una sorta di spot colto, sulla scorta di una strabiliante metafora. Lo storico dell’arte, dinanzi alla camera, imbastisce una lettura iconografica di un celebre dipinto di Cecco del Caravaggio, dedicato a un ancor più celebre episodio biblico: la cacciata dei mercanti dal Tempio.
Niente di ironico, anzi. La sensazione è che il professore si prenda molto sul serio. È lui a definire l’opera una “profezia pittorica”, che mostra – con 400 anni di anticipo – la vittoria del No al referendum del 4 dicembre”. Più chiaro di così.
La scena si rifà evidentemente alla versione di Giovanni, l’unico dei quattro evangelisti che cita le cordicelle che Gesù avrebbe brandito contro i mercanti e i buoi messi in vendita per i sacrifici. Ma è anche l’unico che non parla di “ladri” o “briganti”, quanto semplicemente di “cambiavalute”. Non c’è dunque un giudizio assoluto di valore, ma la descrizione di una anomalia tutta religiosa: chi faceva affari, dentro la casa di Dio, era legato a una visione materialista e non spirituale della fede, laddove la parola di Cristo non era ancora legge interiore.
È anche vero, com’è noto, che poco ci fosse di virtuoso in quelle attività: il costo degli animali sacrificali era esorbitante (poiché si risparmiava ai fedeli la fatica di portarseli dietro) e i cambiamonete operavano una vera e propria speculazione, imponendo tassi di cambio iniqui tra il conio ebraico e quello romano.

Ed è a questo che Montanari si aggancia, per la sua esegesi contemporanea: se il Tempio diventa la nostra democrazia, i mercanti che ne usurpano la sacralità sono i banchieri, i palazzinari, le lobby finanziarie e la politica degenerata. Ovvero, i carnefici dei cittadini, ridotti – e qui scatta un’ultima fantasiosa interpretazione – come quei buoi in attesa di essere “sgozzati sull’altare della finanza e degli interessi privati”. Radicalmente teatrale, splatter al punto giusto, inquietante come una puntata de La Gabbia.
Evidente la forzatura, che supera la cornice teologico-simbolica del quadro e del brano evangelico, per vedere il buon Montanari e i tanti esponenti del No – da Grillo a Berlusconi, da Ingroia a Salvini – nei panni di nuovi Messia, in lotta per liberarci dalle oscure trame del presente.
Tra P2, Trilateral e banche mondiali, la retorica dei poteri forti prende il sopravvento, in un dotto concentrato di tutti i terrorismi, i complottismi e le dietrologie che fioriscono incontrollati.
Insomma, più o meno la storia di JP Morgan, che avrebbe dettato a Renzi la Riforma (chissà se l’aveva dettata pure a Prodi, ai tempi dell’Ulivo, a D’Alema, Onida e alla CGIL, prima che cambiassero idea, oppure a Giuseppe Dossetti, antifascista e Padre Costiuente, o a Nilde Iotti, durante il noto discorso di Piombino nel ’79).
Bizzarro poi che Mario Monti, per tutti “Mr. Bilderberg”, grigio tecnocrate ed emblema dei poteri oscuri internazionali, voti No come Montanari. E bizzarro che Donald Trump, eletto da Grillo difensore dei deboli contro l’establishment (la casta amata dal popolo anti-casta), ha offerto a due pezzi grossi di Goldman Sachs e JP Morgan la poltrona di segretario al Tesoro degli Stati Uniti. Insomma, contraddizioni e banalità, in piena melassa populista.

Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio, 1610-15

Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio, 1610-15

CHI HA PAURA DI JP MORGAN?
Che a questa roba si presti uno studioso come Montanari, dispiace. E ancor più si resta di sasso, quando storia dell’arte e religione vengono ridotte a sceneggiature pubblicitarie. Ora, nella sua scheda biografica sul Fatto Quotidiano, Montanari si presenta con frasi di questo tenore: “Strumentalizzata dal potere politico e religioso, banalizzata dai media e sfruttata dall’università, la storia dell’arte è ormai una escort di lusso della vita culturale”. E cos’è questa sua operazione, se non una strumentalizzazione e banalizzazione dell’arte a fini politici? Cos’è, se non un teatrino retorico, asservito all’ideologia? E soprattutto, cosa c’entra tutto ciò con le modifiche della Costituzione? Niente di niente.
Non c’è un solo punto della Riforma in cui si accenni a temi legati a economia, lavoro, precariato, mercati globali, checché ne dicano stimati intellettuali come Bifo (col suo “No” sparato contro  la “dittatura liberista” e le politiche sociali del Governo Renzi: ma checi azzecca?), o anche le varie vulgate di estrema destra ed estrema sinistra.
La tesi per certuni è che i colossi della finanza abbiano interesse a indebolire le democrazie europee e a profanare le Carte costituzionali. Ma come?

jp-morgan

Eliminando il bicameralismo perfetto, che esiste solo in Italia, Polonia e Romania, e che da sempre – a detta di tutti – determina intoppi, instabilità, lentezza? Abolendo l’inutile e costoso CNEL? Avvicinandosi al numero dei parlamentari degli USA (a oggi ne abbiamo circa il doppio!)? Riportando allo Stato la gestione omogenea di settori strategici, che dopo la cattiva riforma del 2001 erano passati alle regioni, con tanto di continui ricorsi, ambiguità e disarmonie territoriali? Introducendo una camera delle autonomie, con elezione di secondo livello conforme al voto popolare? E che se ne fa JP Morgan di queste correzioni? Non si capisce.
Tutto fa brodo, nel lento condizionamento sociale di matrice populista, che di volta in volta si nutre di nuovi spauracchi e capri espiatori: gli immigrati, le banche, la politica, i partiti, l’Europa. Il cittadino-vittima (mai invitato all’autocritica, ci mancherebbe) lo conquisti così, usando la sua stessa rabbia. E l’estetica del No resta vincente. Un No strutturale, culturale, esistenziale. Un No della protesta per la protesta, della conservazione spacciata per rivoluzione, della distruzione che supera la costruzione. Le osservazioni di merito sulla Costituzione stanno altrove e sono materia di filosofia politica e diritto costituzionale. Il resto è fuffa. Strategia. O magari ingenuità.
Montanari può anche credere a tutte queste storie, per carità. Magari ha pure ragione. Ma la grande pittura del Seicento e la tradizione biblica lasciamole fuori. O il rischio è davvero che si evochi quella propaganda di regime che cerca armi subdole per orientare le masse. A quello, oggi, ci pensano certi blog.

 Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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