C’è un nuovo mercato per le artiste

Acquistare opere realizzate da artiste comporta l’investimento di meno risorse per lavori della stessa qualità, storia e rilevanza di opere di artisti. A parole sono tutti d’accordo, ma il mercato ripone la stessa fiducia nella creatività femminile? Vi raccontiamo cosa accade sul mercato, mentre sul numero in uscita di Artribune Magazine ripassiamo un po’ di storia.

Per secoli – e quasi fino ad oggi, per quanto in misura minore – il mondo dell’arte è stato governato da uomini: direttori di musei, curatori, collezionisti e galleristi hanno prediletto lavori realizzati da persone del loro stesso sesso, facendo crescere l’interesse e i valori dell’arte “maschile” rispetto a quella “femminile”. Tra le 100 opere vendute a cifre più alte degli ultimi cinque anni si trova una donna solo all’87esimo posto, ed è Cady Noland; sui 100 artisti che hanno generato risultati migliori negli ultimi 5 anni ci sono solo 6 artiste: Yayoi Kusama (6° posto), Cindy Sherman (31°), Julie Mehretu (81°), Marlene Dumas (96°), Bridget Riley (98°) e Tauba Auerbach (100°).
Prendendo quale campione le recenti aste inglesi, si nota la sproporzione tra il numero degli autori e quello delle autrici dei lotti. Ad esempio, tra gli artisti dei 35 lotti dell’Evening Sale di Sotheby’s di ottobre 2016 l’unica donna era Elizabeth Peyton; all’Evening Sale di Christie’s, su 46 lotti erano presenti solo 5 opere di artiste.

QUALCOSA STA CAMBIANDO?

Per quanto ancora quasi impercettibili, ci sono tuttavia segnali di cambiamento. Fa ben sperare, ad esempio, che quasi tutte le opere da Sotheby’s siano state vendute molto bene, in particolar modo quella di Lucy McKenzie, che ha totalizzato una cifra 11 volte superiore alla stima.
Ma non sono solo i buoni risultati in asta a mostrare che qualche cosa sta evolvendo. Più in generale, nel sistema dell’arte oggi sono inserite in posizioni apicali molte donne tra curatrici, direttrici di fiere e collezioniste che contribuiscono a far crescere la visibilità dell’arte realizzata da donne; a questa nuova geografia del potere si sommano gli articoli (firmati quasi sempre da giornaliste, purtroppo) che sottolineano quanto sia alto il margine reale e potenziale di questi investimenti. Sebbene non sia affatto confortante rilevare che siano le donne e non la società intera a valorizzare le artiste, il risultato dello sforzo è promettente.

Lucy McKenzie - exhibition view at Galerie Buchholz, Colonia 2010

Lucy McKenzie – exhibition view at Galerie Buchholz, Colonia 2010

TATE & FRIEZE

La riorganizzazione della Tate Modern generata dalla nuova Switch House di Herzog & de Meuron sottolinea la potenza delle artiste, facendo emergere anche la ricerca delle meno note; tra i bellissimi nuovi allestimenti, sono presentate una percentuale maggiore di installazioni realizzate da donne e spiccano soprattutto le artist room di Rebecca Horn, Ana Lupas e Louise Bourgeois, oltre alla superba mostra dedicata a Georgia O’Keeffe terminata il 30 ottobre.
All’ultima edizione di Frieze (sia London che Masters) la presenza delle donne si notava fin dall’ingresso. Passeggiando per gli ampi e relativamente quieti corridoi di Frieze Masters, infatti, ci si imbatteva spesso in lavori di molte artiste attive tra gli Anni Sessanta e Ottanta. Oltre alle pressoché onnipresenti bande verticali di Bridget Riley, saltavano agli occhi gli stand dedicati a Heidi Bucher (con Freymont Guth), Michelle Stuart (Parafin), Lygia Pape (Galeria Dan), e non si potevano certo non notare gli ampi e colorati dipinti di Paula Rego (da Malborough) e Susan Rothemberg (Craig F. Starr Gallery), le complesse composizioni di Nancy Grossman (Michael Rosenfeld Gallery) e Louise Bourgeois (Hauser and Wirth).
Ai due capi di Regent Park, inoltre, erano disponibili molti lavori di artiste che oggi hanno intorno ai quaranta/cinquanta anni e che si erano già viste anche a Unlimited e ad Art Basel, tra cui Alicia Kwade (303 Gallery), Nicole Wermers (Herald St), Latifa Echakhch, Camille Henrot (Kamel Mennour) e Mrinalini Mukherjee (Jhaveri Contemporary Art).

ITALIAN SALE AL FEMMINILE

Le ottime performance delle uniche artiste donne presenti alle Italian Sale di ottobre confermano questa impressione anche per il mercato italiano. Da Sotheby’s è stata venduta l’opera Dinamica Circolare 6K del 1966 di Marina Apollonio a £ 62.500; da Christie’s, La modella inglese del 1969 di Giosetta Fioroni è stata aggiudicata per £ 56.250 e, nella stessa asta, i Presagi di Birman del 1994 di Carol Rama (artista a cui Isabella Bortolozzi dedicava un intenso stand a Frieze Masters, mentre alla GAM di Torino è in corso l’antologica itinerante che negli scorsi mesi è stata a Barcellona, Parigi, Espoo e Dublino) sono stati venduti per £ 179.000. In entrambi i casi, le aggiudicazioni sono da record.
L’impressione generale, ricordando quelle immagini, è che le artiste di ieri e di oggi non rinuncino quasi mai alla componente materica delle opere; più sensuali dei colleghi, meno disposte a produrre lavori esclusivamente concettuali o furbetti, le artiste assemblano materiali spesso naturali o oggetti di uso quotidiano e li trasformano in sculture che si impongono nello spazio. Quasi sempre la qualità delle opere è alta e le cifre chieste per il loro acquisto spesso sorprendono per la loro ragionevolezza.

Antonella Crippa

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34

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Antonella Crippa

Antonella Crippa

Antonella Crippa è una art advisor e vive e lavora a Milano. Da settembre 2017 è la curatrice responsabile della Collezione UBI BANCA. Si forma come storica dell’arte laureandosi in Conservazione dei beni culturali e diplomandosi alla Scuola di specializzazione…

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