Spese di rappresentanza. Cosa sono e come funzionano

La rappresentanza è una voce di spesa importante per qualsiasi istituzione culturale. Ecco una serie di consigli per orientarsi su un terreno delicato e complesso, tra regole fiscali ed economia. E naturalmente attenzione ai regali di Natale.

Le spese di rappresentanza sono disciplinate dall’art. 108, comma 2 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). In linea generale sono dirette a promuovere e consolidare il prestigio dell’impresa. Al comma 1 dello stesso articolo troviamo le spese di pubblicità, di solito rivolte a un pubblico indistinto, mentre i costi di rappresentanza sono indirizzati a una cerchia ristretta di soggetti e producono nei loro confronti un vantaggio in senso lato anche patrimoniale, più o meno apprezzabile (si pensi a un omaggio, all’invito a una cena, a medaglie, targhe, libri celebrativi ecc.).
Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei proventi dell‘attività caratteristica, anche internazionale (quest’ultima da non sottovalutare nel caso per esempio di enti con rapporti con l’estero: si pensi per i prestiti). Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50.
Per un’istituzione culturale le spese di rappresentanza sono tali se assolvono le seguenti finalità:
– sostenute con scopi promozionali e di pubbliche relazioni in stretta correlazione con le finalità istituzionali;
– ragionevoli in funzione della qualità e quantità;
– coerenti con gli usi e le pratiche del settore;
– in grado di qualificare il/i soggetto/i destinatario/i della spesa.

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INERENZA, ANTIECONOMICITÀ E SPESE
L’inerenza ha anche il fine di escludere la deducibilità per le spese estranee all’impresa culturale, destinate al consumo personale o familiare dei soci, degli amministratori, dei dipendenti e di altri terzi. Vi è anche un profilo “quantitativo” dell’inerenza, quando i costi risultano sproporzionati rispetto alle dimensioni e al profilo dell’ente, collegandosi inevitabilmente al concetto di antieconomicità; concetto quest’ultimo che non collide con l’assenza dello scopo di lucro, tipico della maggior parte delle istituzioni culturali.
Il principio di congruità va inteso rispetto agli altri costi e proventi dichiarati.
Le spese di rappresentanza hanno un plafond di deducibilità che dal 1° gennaio 2016 è pari:
– all’1,5% dei ricavi e altri proventi fino a 10 milioni di euro;
– allo 0,6% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni;
– allo 0,4% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni.
Ai fini IVA valgono le seguenti regole di detraibilità:
– detraibilità IVA al 100% per le spese di rappresentanza fino a euro 50;
– indetraibilità IVA al 100% per le spese di rappresentanza superiori a euro 50.

In linea generale l’ente culturale, nella netta e tipica distinzione tra proventi istituzionali (non tassati: per esempio i contributi e le liberalità) e proventi commerciali (tassati: la norma fiscale del plafond sopra descritto è a questi ultimi che si riferisce), deve inquadrare nella rappresentanza le spese sostenute per varie forme di ospitalità, di manifestazione di ossequio e di considerazione che l’ente realizza a tale scopo, attraverso i propri rappresentanti, nei confronti di organi e soggetti estranei, anch’essi dotati di rappresentatività per mantenere o veder accrescere il prestigio.

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GLI ACCORGIMENTI
Non sempre è facile individuarle con sicurezza. Vi sono situazioni di spese che in concreto possono trovarsi al confine tra due o più categorie: di rappresentanza, di pubblicità, di funzionamento e per attività culturali. Per questo sono importanti alcuni accorgimenti di metodo: acquisire e conservare tutta la documentazione necessaria a provare il contesto nel quale una spesa è stata sostenuta (inviti, modulistica, mail e scambi di corrispondenza, contratti ecc.); rappresentare la gestione con appositi centri di costo/investimento – anche in via extracontabile – nei quali far confluire anche le spese di rappresentanza insieme a quelle di funzionamento, così da evitare l’effetto “calderone” con una sola singola voce difficilmente ricostruibile soprattutto ex post.

Irene Sanesi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #32

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Irene Sanesi

Irene Sanesi

Dottore commercialista e revisore legale. Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano. Opera in particolare nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del Terzo Settore con particolare riferimento alla cultura,…

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