Riflessioni sulla Via Crucis

Informazioni Evento

Luogo
RACCOLTA LERCARO
Via Riva Di Reno 57, Bologna, Italia
Date
Dal al

giovedì e venerdì, ore 10–13 / sabato e domenica, ore 11-18.30 -
Chiuso il lunedì, martedì e mercoledì -
Il museo resterà chiuso da giovedì 17 aprile (giovedì santo) a mercoledì 7 maggio (compresi). Riaprirà giovedì 8 maggio -
Chiuso il 2 giugno 2014

Vernissage
09/04/2014

ore 19

Artisti
Mirco Marchelli, Mario Fallini
Curatori
Andrea dall’Asta S.I.
Generi
arte contemporanea, doppia personale
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La Raccolta Lercaro presenta opere degli artisti Mirco Marchelli e Mario Fallini donate da Gabriele Caccia Dominioni, Maria Giuseppina e figli. Si tratta di una libera riflessione sulla Via Crucis ideata da Marchelli, di una Croce in vetro e di una formella in pietra lavica, realizzate da Fallini.

Comunicato stampa

Mostra a cura di Andrea Dall'Asta S.I.

La Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro-Raccolta Lercaro, in prossimità e in attesa della Pasqua, presenta alla Città opere degli artisti Mirco Marchelli e Mario Fallini donate da Gabriele Caccia Dominioni, Maria Giuseppina e figli, in ricordo dei genitori Pierpaolo e Giulia.
Si tratta di una libera riflessione sulla Via Crucis ideata da Mirco Marchelli nei primi anni Duemila, di una Croce in vetro e legno d'ulivo realizzata da Mario Fallini già esposta alla Raccolta Lercaro nel 2011, all'interno della mostra Alla luce della Croce. Arte antica e contemporeanea a confronto, e di una formella in pietra lavica smaltata recante l'incipit del Vangelo di Matteo.
Queste opere si aggiungono a quelle già presentate nell'esposizione Nuove donazioni per la Raccolta Lercaro, comprendente lavori di Ettore Spalletti, Marcello Mondazzi, William Xerra, Graziano Pompili, Giovanni Chiaramonte, dei Maestri Giovanni Boldini, Adolfo Wildt e Georges Rouault, rappresentando un nuovo punto di eccellenza per il museo e per la Città.

Mirco Marchelli medita in modo inconsueto sulla Passione e morte di Cristo, interpretando liberamente le quattordici stazioni della Via della Croce e approdando a un ciclo composto da altrettante installazioni che non contengono, apparentemente, espliciti riferimenti all’iconografia figurativa tradizionale.
Come è possibile allora interpretare questa Via Crucis se non esistono chiari riferimenti legati all’immaginario tradizionale che ha sviluppato il tema sin dalle origini della fede cristiana? Si tratta di entrare nella sequenza narrativa del mistero della morte e risurrezione di Gesù di Nazareth, via che conduce alla salvezza, alla definitiva riconciliazione dell’uomo con Dio. E di comprendere un discorso in cui l’artista traccia sentieri inconsueti, proponendo insolite connessioni tra passi biblici, suggerendo libere associazioni che trovano la loro logica all’interno di una meditazione personale, in cui l’artista si è lasciato interpellare dalla Via dolorosa di Gesù di Nazareth.
La ricerca espressiva di Marchelli si concentra su di una poetica della memoria, riflettendo sugli oggetti dimenticati del nostro mondo quotidiano come se si presentassero a noi dalle soffitte della vita per parlarci del loro passato, per interrogare il nostro presente. Gli oggetti, una volta de-situati, sono ricontestualizzati, manipolati, sottratti alla loro funzione d’uso, aprendosi in questo modo a un nuovo rapporto col reale. In questa Via Crucis, le cose appartenute all’ordinarietà del nostro mondo, diventano un punto di partenza
per una rappresentazione simbolica in cui la loro esistenza si apre a significati imprevisti e inattesi, ad associazioni inedite e inaspettate. Come se ogni oggetto, rielaborando e ritessendo le relazioni con la realtà, potesse dischiudere un ininterrogato spazio di senso. Il mistero della Via Captivitatis è in questo modo ricreato a partire dalla semplicità di oggetti comuni, che attraversano, nel silenzio e nella modestia, senza clamore, il tempo della memoria, acquisendo un nuovo statuto, una nuova consistenza. Una nuova vita.
La Via Crucis di Marchelli è certamente un tentativo originale, quanto riuscito,
d’interpretazione di una sequenza narrativa tra le più importanti dell’iconografia cristiana: sequenza che invita a meditare, o meglio ancora, a pregare sul mistero dell’esistenza stessa dell’uomo.

La Croce realizzata da Mario Fallini può essere letta secondo diversi punti di vista.
Si tratta di un'opera di piccole dimensioni costituita da sette rocchetti in vetro che presentano la caratteristica di essere crepati per tutta la loro superficie: quattro rocchetti sono disposti verticalmente, due orizzontalmente e tutti inseriti all’interno di una sagoma in legno d'ulivo che rende chiara e leggibile la forma della croce.
È immediato pensare a una lettura dell’opera in chiave simbolica partendo dalle figure del cerchio e del quadrato: quest'ultimo, infatti, simboleggia la terra e il contingente; il cerchio, invece, è figura della perfezione, dell’infinito, dell’eternità. Attraverso l’unione di queste forme geometriche, Fallini vuole suggerire come la croce costituisca il passaggio da una dimensione terrena a un’altra trascendente, assoluta, celeste.
Un altro elemento che caratterizza la Croce di Fallini consiste nel fatto che la croce poggia su un piedistallo trasparente di forma cilindrica. Si viene dunque a creare una continuità tra la trasparenza della base e quella degli elementi circolari. Nell’opera di Fallini la croce non è più, contrariamente a quanto suggerisce l'immaginario comune, un luogo di tenebra: anche il luogo su cui la croce è “piantata”, il Golgota, appare perdere la tradizionale associazione alla morte. Tutti gli elementi si lasciano attraversare dalla luce e la croce diviene allora luogo abitato dalla grazia di Dio, che redime anche ciò che umanamente può apparire più oscuro: da luogo “opaco” la croce diventa luogo di passaggio della luce... della grazia.
Accanto, una formella in pietra lavica smaltata accompagna il messaggio della Croce con le parole dei primi sette capitoli del Vangelo di Matteo. Si tratta di una prova d'artista che Fallini, nella sua ricerca orientata all'indagine del rapporto parola-immagine, ha realizzato in occasione del lavoro svolto alla chiesa della Santissima Annunziata di Alessandria: una cintura di formelle smaltate su cui è trascritta la Parola che, come un cordone ombelicale, abbraccia i muri dell'edificio.
La formella si apre con il racconto della nascita di Gesù e, accostata alla Croce, diviene l'alfa della nuova Alleanza, il punto di partenza da cui si avvia il progetto di salvezza che Dio rivolge all'uomo attraverso l'Incarnazione.