Diego Mormorio – Terre abitate

Informazioni Evento

Luogo
SPAZIO CERERE
Via Degli Ausoni 3, Roma, Italia
Date
Dal al

ore 15.30 - 19.30

Vernissage
07/06/2011

ore 18.30

Artisti
Diego Mormorio
Generi
arte contemporanea, personale
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Mostra personale di ceramiche

Comunicato stampa

AUTO O MOTO-INTERVISTA
di Diego Mormorio

Che cos’è per te la ceramica?

Sin dall’inizio, per me la ceramica è stata un dialogo con la natura e con l’esercizio del pensare. Un confronto intenso, duro, che qualche volta, sbagliando, ho creduto dovesse essere addirittura combattivo. Sbagliando dico, perché con la materia non può esserci alcuna combattività. La materia, in quanto natura, non si fa vincere. È inviolabile. Soltanto assecondandola essa si abbandona al dialogo, uscendo dal suo nascondiglio.

Nascondiglio?

Sì. Gli antichi Greci dicevano così: la natura ama nascondersi. E in questo senso l’arte – qualunque arte – non può che essere un invito ad uscire dal nascondiglio.
L’arte – forse più della stessa filosofia – è un processo di disvelamento. Un invito alla natura a togliersi il velo.
Alétheia, questa parola greca viene solitamente tradotta con verità, ma come ha sottolineato Martin Heidegger nelle sue lezioni su Parmenide, la traduzione più appropriata, e anche più letterale, è dis-velamento. Dunque, significa togliere il velo.
Ecco, l’arte è questo: un assecondare la natura, per portarla a disgelarsi. Dunque, un dialogo amorevole, assolutamente serio, ma che non può mai essere serioso, non deve cioè essere ammantato di un atteggiamento forzato. Un artista deve continuamente avere la consapevolezza che non è lui il protagonista, ma che è la materia il centro dell’arte. In questo senso, bisogna essere leggeri, fors’anche un po’ scherzosi.

In che senso?

Durante la realizzazione delle mie ceramiche, ad esempio, io scherzo con chi mi sta vicino, con chi lavora nello stesso laboratorio. Faccio questo per allontanare da me ogni tentativo di seriosità che potrebbe portarmi a credere che la materia che ho di fronte – la creta – possa essere dominata. A qualcuno potrebbe sembrare una follia, ma, a tratti, io penso che la materia possa leggere nei miei pensieri, e, vedendoli troppo seriosi, possa resistere a ogni mio tentativo. Per me la materia è come le donne intelligenti: amano soprattutto chi le fa ridere.

Come sei arrivato alla ceramica?

Per il mio amore per il motociclismo tutto e l’automobilismo rellystico. Ma questo l’ho scoperto dopo. All’inizio mi chiedevo come mai esattamente ho cominciato questo cammino. Ripeto, l’ho capito dopo un po’ di tempo.

E cioè?

È successo che, un giorno, a Roma, andando in giro in motocicletta con mia moglie, passando per largo Arenula, con la coda dell’occhio ho visto un manifesto in cui c’era scritto “Corsi di ceramica”. Immediatamente mi sono fermato e abbiamo preso il numero di telefono. Ecco, la domanda che per molto tempo mi sono fatto è questa: perché mi ha colpito così tanto questo manifesto? Qualche tempo dopo mi sono ricordato che proprio cento metri prima avevo visto un ragazzo su una bellissima KTM e la mia mente per qualche istante mi ha fatto sognare di essere un crossista. Insomma, è successo questo: la parola ceramica si è fusa con la parola fango. Non potendo, per via dell’età, essere più un crossista, sono diventato un ceramista.

Quali sono le tue linee di ricerca con la ceramica?

Sin dall’inizio, ho lavorato intorno a quattro temi: il fuoco, l’acqua, i libri e le dimore architettoniche, in quanto ricordo d’infanzia o richiamo letterario. Tutto il resto mi interessa poco. Anzi, quasi non mi interessa affatto.

Come definiresti le tue linee formali?

È una domanda impegnativa. Provo a rispondere. Direi che non ho linee. Ovvero, che ne ho molte. Mi spiego. È inevitabile che un autore abbia tecnicamente un suo modo di procedere. Così come uno scrittore ha un suo modo di costruire la frase o un poeta il suo modo di verseggiare, io come ceramista ho una mia maniera di affrontare la creta. Questo dato tecnico costituisce “lo stile” interno alle mie realizzazioni. Tale dato però può essere colto soltanto da chi conosce profondamente il linguaggio della ceramica. Gli altri si trovano di fronte a una certa varietà di forme. E tale varietà può forse un po’ stupire. Il pubblico, infatti, è abituato a vedere che un autore rimane quasi sempre “fedele” alla sua forma – parlo della “forma esteriore” e non del dato tecnico o intimo dell’opera, che, in pittura come nella scultura o anche nel cinema, pochi sanno veramente cogliere. Parlo della “forma esteriore”, ossia di ciò di cui l’opera tratta e del modo in cui essa lo tratta, ovverosia dei temi, delle linee, dei ritmi, dei colori. Ecco, in questo, io non penso di essere tenuto ad alcuna “fedeltà”. Come dicevo prima, ci sono dei soggetti che mi interessano, e, con la mia specificità tecnica – nel mio rapporto con la creta –, io cerco di farli sorgere ogni volta in un modo particolare, vale a dire, nel modo che penso il soggetto mi imponga. Credo che ogni cosa abbia il suo modo di presentarsi al mondo. Ciò che conta non è l’autore, ma il soggetto rappresentato. L’autore è un mezzo che risponde all’espressività delle cose. Non può piegare le cose a un suo particolare modo di essere, ma deve farsi tutt’uno con l’essere delle cose che incontra.

L’arte, dunque …

Sì, l’arte, la vera arte, è anche un esercizio di umiltà, mentre vedo che molti autori di oggi sono dei presuntuosi. Credono di essere il sale della terra. Non immaginano minimamente che il sale sta altrove. L’esasperato individualismo del nostro tempo li porta a non vedere che il sale del mondo sta nell’unitarietà di tutte le cose, e che il vero senso di un autore è nel dare espressione a questa unitarietà.

Senti più necessario scrivere o fare ceramiche?

A volte scrivo e a volte faccio ceramiche. Mi sento felice nell’una e nell’altra cosa. Anzi, per la verità, mi sento quasi sempre felice. E vorrei che questa felicità si percepisse nelle cose che scrivo come in quelle che realizzo con la creta.