Dalle Dolomiti a Venezia / Fabrizio Campanella

Informazioni Evento

Luogo
OFFICINA DELLE ZATTERE
Fondamenta Nani, Dorsoduro 947 30123, Venezia, Italia
Date
Dal al

dal mercoledì alla domenica dalle 11 alle 19.

Vernissage
20/02/2014

ore 18

Contatti
Email: l.flora@arteeventi.com
Biglietti

ingresso libero

Artisti
Marco Agostinelli, Barbara Taboni, Dino Buzzati, Fabrizio Campanella, Annamaria Belloni, Raul Barattin, Isabella Bona, Franco Fiabane, Augusto Murer, Franco Murer, Giacomo Roccon, Daniele Cinciripini
Curatori
Gianluca Marziani, Roberta Semeraro
Generi
fotografia, arte contemporanea, personale, collettiva
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Se l’esposizione al piano terra affronta da diverse angolature il discorso della memoria, al piano superiore dell’Officina delle Zattere “Close-up”, antologica delle opere di Fabrizio Campanella, ricorda come nell’arte contemporanea i nuovi linguaggi siano spesso memori dei “codici semantici delle avanguardie storiche”.

Comunicato stampa

Giovedì 20 febbraio alle ore 18 l’Officina delle Zattere riapre i battenti con due importanti iniziative, che dureranno fino al 23 marzo.

MEMORIA
“Dalle Dolomiti a Venezia (e viceversa). Migrazioni d’autore” nasce da una riflessione sul fil rouge che unisce Venezia alle sue Alpi, sul rapporto fra memoria, legame con la propria terra e arte, sui legami degli abitanti del Bellunese con “la pietra, il legno e l’acqua, i tre principali elementi alchemici delle Dolomiti (che) diventano anche i fattori determinanti della loro storia”, come scrive la curatrice Roberta Semeraro.
Migrazioni intellettuali sono stati gli spostamenti di quelle genti che, per proseguire gli studi o esercitare le professioni, abbandonavano le montagne portandone il ricordo con sé. In mostra si potranno ammirare quindi sculture di Augusto Murer, nativo di quei luoghi, che ha sempre ricordato la breve ma fondamentale collaborazione con Arturo Martini avvenuta proprio a Venezia, e di suo figlio Franco Murer, che studiò presso l’Accademia delle Arti di Venezia. Accanto, le opere di Dino Buzzati: originario di Belluno e stabilitosi a Milano, quando ebbe l’occasione di rappresentare piazza Duomo, dipinse la monumentale chiesa gotica sotto le spoglie di una cattedrale di roccia dolomitica e la piazza stessa come una verde valle.
Migrazioni si possono definire anche i percorsi degli artisti che s’incamminano sui sentieri della conoscenza, mantenendo vivo il ricordo delle loro origini. Franco Fiabane, confrontandosi con le più moderne tendenze plastiche, ha preservato quel rapporto esclusivo con la pietra e con il legno de i suoi boschi, con le sue montagne e la grande tradizione dell’artigianato; Isabella Bona, Barbara Taboni, Raul Rabattin e Giacomo Roccon, che rappresentano l’ultima generazione di artisti che vivono nelle Dolomiti, perseguono le loro intime ricerche artistiche nel silenzio delle montagne: per loro, figli dell’era tecnologica e digitale, lo spostamento fisico non è più indispensabile per raggiungere altri luoghi del sapere.
Altre presenze in mostra evocano i forti legami con la memoria del territorio, dal lavoro dei fotografi del Collettivo Thema (Annamaria Belloni, Daniele Cinciripini, Marco Rigamonti) agli oggetti presentati dal Museo della Pietra e degli Scalpellini di Castellavazzo e dal Museo degli Zattieri del Piave di Codissago.
La mostra è promossa da Fondazione Vajont, con la partecipazione del Museo Etnografico degli Zattieri del Piave e del Museo della Pietra e degli Scalpellini e il patrocinio di Regione del Veneto e Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Provincia di Belluno e Provincia di Pordenone, Comune di Erto e Casso, Comune di Longarone, Comune di Vajont.

Se l’esposizione piano terra affronta quindi da diverse angolature il discorso della memoria, al piano superiore dell’Officina delle Zattere “Close-up”, antologica delle opere di Fabrizio Campanella, ricorda come nell'arte contemporanea i nuovi linguaggi siano spesso memori dei “codici semantici delle avanguardie storiche”, come scrive il curatore Gianluca Marziani, metabolizzati dal tempo e dalla sensibilità di ogni artista.
Scrive ancora Gianluca Marziani: “Plasmare l’archetipo mi sembra la giusta chiave per connettere le opere di Campanella. Ogni quadro detiene, infatti, una matrice storica (….). L’archetipo plasmabile implica, di fatto, un costante camminare sul confine tra figura e astrattismi. Campanella ci sta dicendo che non esiste astrazione pura, impossibile astrarsi da qualcuno/qualcosa senza portarsi appresso le tracce, i codici genetici e le memorie che ogni forma esistente trattiene con sé”.
L’antologica delle opere di Campanella illustra oltre vent’anni di ricerca, in cui la sua pittura ha dimostrato resistenza e curiosità, plasmando il proprio potenziale tecnologico, le innate contaminazioni, la rigenerazione endogena.